Nel suo intervento al Meeting di Rimini il presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, Mons. Jean-Louis Tauran, ha una sintesi felice sulle sfaccettature della nostra mentalità attuale.
Mentre non riporto le conclusioni, affidate alla citazione di un passo del documento "nostra aetate", citazione che ho trovato vera ma banale.
Il corretto uso della fede
25 agosto 2015
Il 25 agosto dell'anno 1900, a Weimar, moriva nella solitudine e nella follia Frederich Nietzsche. Qualche anno prima, nella sua autobiografia, dal titolo alquanto sacrilego, «Ecce homo», egli aveva posto la domanda: «Dov’è Dio?». La risposta fu: «Ve lo voglio dire: siamo stati noi ad ucciderlo, voi ed io. Si, i suoi assassini siamo tutti noi. Dio è morto. Dio è morto!».
Nasceva così la corrente di pensiero che, per più di un secolo, è stata conosciuta come "la morte di Dio". Lo scientismo, poi, ha affermato che soltanto la scienza è in grado di rivelare all’uomo tutta la verità. Solo la scienza è il fondamento della saggezza. Può esistere una morale senza Dio.
Certamente, guardando il mondo di oggi, non si può non essere sorpresi nel constatare un ritorno al "sacro", o piuttosto a una certa religiosità perché si scarta ogni idea di rivelazione. Si è alla ricerca di una saggezza, più che di una religione.
Si condividono le esperienze spirituali senza preoccuparsi dei dogmi: believing without belonging (credere senza appartenere).
Dopo la fine dell'unanimità culturale, lo sviluppo del pluralismo, la messa in quarantena della religione nella sfera privata, e l'annacquamento dei valori e dei modelli, la religione è diventata, nel giro di pochi anni, un fattore fondamentale della vita politica, economica, e culturale.
Ma questa nuova religiosità, spesso panteista e sincretista, traduce il bisogno di una "trascendenza" in cui le nostre domande fondamentali potrebbero trovare soluzione: qual è il senso della vita e della storia? Perché soffrire e morire? Cosa possiamo sapere dell’origine e della fine del mondo, ecc?