Che cos’è l’anima?
Enrico Berti
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Ebbene, spero di non scandalizzare nessuno se avanzo l’ipotesi che oggi, nel linguaggio della scienza e della filosofia contemporanea, l’anima possa essere identificata con la formula del DNA o, meglio, con la struttura del genoma proprio di ciascuna specie di esseri viventi e, a quanto pare, persino di ciascun individuo.
Come è noto, gli organismi viventi sono composti di cellule, il cui nucleo è formato da cromosomi, cioè da corpuscoli costituiti da un filamento a doppia elica di DNA e da proteine attorno alle quali lo stesso filamento si avvolge. I cromosomi a loro volta contengono i geni, i quali dirigono lo sviluppo fisico e comportamentale dell’organismo. Essi sono segmenti di molecola di DNA, i quali determinano la sequenza ammino-acidica delle proteine. Ogni cambiamento nella sequenza del DNA costituisce una mutazione e può causare alterazioni come le malattie o altre caratteristiche dell’organismo36.
La sequenza del DNA è, come qualsiasi formula, forma, non materia (la materia sono gli elementi chimici di cui il DNA è costituito), perciò viene chiamata anche, con metafora desunta dalla scrittura, “codice” o “programma” genetico.
Se essa corrisponde, come ha sostenuto Delbrück, a quella che per Aristotele era la forma dei corpi viventi, si può dire che essa è ciò che Aristotele intendeva per anima.
Anche l’uomo, come tutti gli organismi viventi, ha un suo genoma, composto da circa 30.000 geni, di cui nell’anno 2000 è stato ricostruito il sequenziamento37. A quanto si è letto nei giornali, risulta che esso è simile per più del 98% a quello dello scimpanzè, ma esistono somiglianze fortissime col genoma di tutti gli esseri viventi, compreso quello dei moscerini, per cui a questo punto sono più significative le differenze che le somiglianze. Grazie al suo meno di 2% di differenza dallo scimpanzè l’uomo, infatti, parla, legge, scrive e svolge tutte le altre attività che consideriamo tipicamente umane, per cui nessuna donna, ad esempio, si sceglierebbe come compagno uno scimpanzè maschio, né alcun uomo come compagna uno scimpanzè femmina, ed è dubbio che l’eventuale accoppiamento tra l’uomo e lo scimpanzè potrebbe essere fecondo.
Dunque il DNA umano corrisponde a quella che, nella concezione di Aristotele, era l’anima intellettiva, o tipicamente umana. Infine pare che ciascun individuo abbia un suo proprio DNA, presente in tutte le sue cellule, comprese quelle dei capelli e dei peli, per cui dall’analisi di qualsiasi cellula è ricostruibile l’identità del suo possessore, come è confermato dall’uso di tali analisi per i riconoscimenti di paternità o per individuare l’autore di un delitto. Anche questo corrisponde alla concezione che Aristotele aveva dell’anima, per cui ciascuna anima umana è specificamente identica alle altre, ma individualmente diversa.
Particolarmente interessante, in relazione al problema della generazione dell’anima, è la spiegazione che la genetica offre della formazione dell’embrione. Se, infatti, il genoma del nascituro è formato per metà da cromosomi, e quindi da geni, provenienti dal padre, e per metà da cromosomi e geni provenienti dalla madre, esso sarà al tempo stesso generato da entrambi i genitori, e tuttavia del tutto nuovo e imprevedibile rispetto ai genomi di quelli, perché nuova e imprevedibile è la combinazione di tali genomi, la quale varia anche per ciascun figlio della stessa coppia.
Chi non è credente può pensare che tale novità, con l’identità personale che essa comporta, sia dovuta semplicemente al caso, mentre chi è credente può pensare che sia voluta da Dio, e quindi in questo senso l’anima del nascituro è creata da Dio.
Inoltre chi è credente può pensare che tale identità personale, in quanto voluta da Dio ed a lui nota, non si dissolva con la morte, ma si conservi nella mente divina sino al momento di dare vita ad un corpo non più corruttibile, mediante la cosiddetta risurrezione.
Mi rendo conto che questa mia ipotesi, di identificare l’anima umana con la sequenza del genoma umano, può essere accusata di biologismo, e poiché la spiegazione biologica è stata intesa, da parte degli stessi scopritori del DNA, come una forma di riduzionismo, il biologismo può essere considerato una forma di materialismo38. Ma la cosa non mi preoccupa, perché ritengo che l’uomo sia anzitutto un essere vivente, e quindi che anche il suo carattere spirituale dipenda dalla sua realtà biologica, la quale non è affatto pura materia, ma è materia organizzata da una certa forma.
Naturalmente alla realtà biologica dell’uomo si aggiunge poi tutto il patrimonio di esperienze derivanti dalla sua biografia, dall’educazione, dalla cultura, dai rapporti interpersonali, dalla vita sociale, che arricchisce, ma non cancella, il dato biologico, e contribuisce con esso a formare la personalità di ciascuno. Non intendo, ovviamente, negare tutto questo, ma solo ricordare che alla base di tutto c’è una capacità specificamente umana e persino individuale di sviluppare tutte queste potenzialità, la quale corrisponde a ciò che comunemente si può chiamare “anima”. [1]
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Enrico Berti (Valeggio sul Mincio, 3 novembre 1935) è un filosofo italiano, professore emerito di storia della filosofia, presidente onorario dell'Istituto internazionale di filosofia.