Ma io credo in dio?
Ogni tanto me lo chiedo e non ne sono sicuro, anche perché credere in Dio ha molte implicanze.
Se le implicanze fossero di tipo etico, sarebbe un problema affrontabile. Diciamo che sarebbe un problema minore. Le leggi morali sono spesso invenzioni umane per convivere umanamente. Ma è ben altro quello che affermiamo quando diciamo di credere in Dio.
Accettare l'esistenza di un Dio significa
- - Credere che esista una dimensione diversa. Che si chiami cielo, olimpo o altro, poco importa.
- - Credere di avere un'anima che ci sopravviverà. Credere che ci sia e che possiamo essere altro, cioè essere un'anima di ignota consistenza e realtà, essere altro da un corpo costruito con le sostanze incluse nelle tavole di Mendeleev e altro da un software (il DNA) che si è realizzato realizzandoci e che si evolve con noi e che, seppur replicato in milioni di cellule, unifica l'insieme della macchina e la domina.
- - Credere che possa esserci, anzi che ci sia e ci sia anche per noi, una situazione senza tempo, una "eternità", sia essa di tipo rettilineo (come è nel pensiero occidentale) o di tipo circolare (come è nel pensiero greco).
C'è una strada convincente per accettare l'esistenza di Dio e delle sue inimmaginabili inclusioni?
E' mia convinzione che le strade per arrivare a credere in Dio siano tre: per logica, per esigenza e per fiducia.
- Per Logica: ogni tanto mi rileggo le 5 prove tomiste, sono considerazioni di forte logica e stringenti. Convincono il cervello. Ma sono come la dimostrazione di Einstein sul tempo che sarebbe figlio della velocità. In pratica lasciano il tempo che trovano.
- Per Esigenza interiore: é la prova ontologica dell'esistenza di Dio di sant'Anselmo d'Aosta, prova che ho letto riproposta da Benedetto XVI. Ma aver fame non significa che ci siano degli alimenti sul tavolo. Valida se riconosco Dio come mio creatore, ma allora perché perdere tempo a dimostrarne l'esistenza?
- Per Fiducia, fiducia in una persona, fiducia in quello che i suoi ascoltatori riferiscono e fiducia nell'interpretazione che ne dettero i concili della prima inculturazione (IV secolo d.c.).
Gesù ha detto di di venire da altrove, di andare altrove, di avere in quell'altrove schiere di potenziali difensori. Non riferisce per sentito dire, non argomenta per deduzione o perché qualcuno l'ha informato. Ha semplicemente detto di venire da lì e l'ha detto davanti ad un tribunale.Ha anche raccontato le dimensioni di questo "altrove": c'è posto per tutti perché lassù è grande, quasi infinito. Per lui non era fantascienza parlare di un universo parallelo. Per Lui esisteva.
Gesù ha detto di tornare lì, da dove è venuto, e ci raccontano che l'abbia fatto. Quindi dentro di noi abbiamo qualcosa oltre l'acqua, il ferro e altre sostanze, ed anche oltre il software che ci caratterizza, abbiamo qualcosa che sopravvive. Di questo fatto i testimoni sono gli apostoli e quella ristretta cerchia dei contemporanei.
Così agendo ha definito il tempo. Il tempo è lineare, non infinito perché ripetitivo, ma semplicemente è possibile il "senza fine".
Ora si tratta di giudicare chi era quest'uomo: un ebreo fanatico? un pazzo che affermava cose impossibili? Un precursore di Asimov?
Di certo in tanti gli hanno creduto. E in tanti ne hanno affermato la resurrezione.
Fra qualche giorno se ne celebra l'anniversario della sua nascita. Purtroppo son 2000 anni che i suoi amici, come allora, continuano a cercare una poltrona a ricompensa di meriti inesistenti di fedeltà, a interrogarlo sulla propria carriera nel nuovo regno mentre mangiano a sbaffo in una tavola che si sono auto-imbadita in suo nome, ma almeno continuano a raccontarci di Lui. Un racconto che è un filo ininterrotto lungo due millenni.