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27 febbraio 2016 6 27 /02 /febbraio /2016 17:37

Abramo, come tutti Patriarchi, non è un eroe come Ulisse, è solo un “patriarca”, non conta da solo, conta per la discendenza.

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Ma Abramo è distante da Ulisse soprattutto perché il suo viaggio nasce dalla fede, all’origine del viaggio c’è la chiamata. Anche il viaggio di Ulisse non è certo determinato e voluto dall’eroe, ma il protagonista è lui, nel “patire”.

Nel viaggio di Abramo il protagonista è Dio. Dio prende l’iniziativa, parla, Abramo tace e ubbidisce.

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Decisivo a caratterizzarlo in questo senso è il passo di Genesi 12,1- 9. Qui Abramo è già il primo dei credenti, “el-Chalìl”, “amico di Dio”, per eccellenza. La sua fede gli è imputata a “giustizia” perché appare come l’atteggiamento giusto davanti a Dio.Crede in due promesse incredibili: la figliolanza e la terra.

Nella sua condizione non sarebbe stato scandaloso non credere, anzi forse sarebbe stato “responsabile”.

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È celebre la definizione di “salto nel buio”, è una definizione un po’ troppo esistenzialista per la Bibbia, ma è vero che la fede qui è spiegata come il fatto di dare credito anche al di là di ciò che si può sperimentare, come dice l’autore della lettera agli Ebrei : «Per fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava» (Ebrei 11,8).

Tuttavia questa fede non è un fenomeno irrazionale, perché nel testo Dio parla e si manifesta: insomma l’esperienza di fede trascende, ma non è inaccessibile. Inoltre se la richiesta è onerosa (lasciare il paese, il clan, la casa di suo padre), la promessa sembra superare di molto l’onere.

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Ulteriore tappa della rivelazione è quando Abramo giunge nella terra di Canaan (Genesi 13,14-17): il redattore del testo ci vuol far capire come l’esperienza di fede non sia legata a un attimo della vita, al momento originario, ma apra un cammino, un viaggio, in cui si ha una progressiva rivelazione di Dio e una progressiva comprensione del senso dell’esperienza umana

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A differenza delle vicende di Mosè o di Geremia, il testo che racconta la chiamata non dice nulla della reazione psicologica di Abramo. C’è solo la chiamata del Signore e il silenzio di Abramo con la sua risposta nella vita. Forse l’autore ha l’intenzione di sottolineare che la fede di Abramo non è solo adesione interiore, è soprattutto obbedienza esteriore, come è ovvio che sia la fede.

Abramo parte davvero, inizia l’avventura della fede ebraica, della Halakhà (la via, il cammino dell’obbedienza alla legge). Abramo è per questo punto di riferimento comune alle tre grandi confessioni monoteiste in quanto archetipo, modello primitivo e universale del credente: la fede non è una convinzione intellettuale, la fede è mettersi in viaggio, giocare la propria vita sulla base della Parola di Dio.

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È di Emmanuel Lévinas la celebre frase: «Al mito di Ulisse che ritorna ad Itaca, vorremmo opporre la storia di Abramo che lascia per sempre la patria per una terra ancora sconosciuta».

Da questo punto di vista il viaggio di Ulisse è più facile di quello di Abramo. Per Lévinas l’avventura ebraica di Abramo è diversa e ben più dura di quella greco-classica di Ulisse.

  • Rischi e difficoltà sono enormi, ma Ulisse sa dove va, lo aspettano una casa, una patria, volti noti ed amati. Ogni dolore, ogni sventura è più sopportabile quando si ha una precisa idea del loro superamento.
  • Abramo invece conosce solo quello che lascia, non sa come sarà la terra dove arriverà. I suoi ricordi rimandano a immagini e cose che non vedrà più. Il suo futuro non è un ritorno, ma una continua partenza.

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Per questo, secondo Filippo Gentiloni, il nòstos, il viaggio di ritorno di Ulisse avrebbe preso il sopravvento nella tradizione cristiana rispetto al viaggio di Abramo: alla speranza cristiana si sono voluti attribuire oggetti certi e predefiniti; il Regno di Gesù ha avuto i contorni rassicuranti di un’Itaca con i contenuti della propria vicenda umana, lasciando poco spazio all’incertezza dell’azione dell’Altro.

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I cristiani hanno voluto darsi un’identità definita una volta per tutte, si sono sedentarizzati nella contemplazione nostalgica delle proprie radici e chiusi all’avventura del viaggio verso il futuro.

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Il dio di Abramo è asimmetrico in quanto l’Altro. Secondo l’insegnamento di Lévinas il rapporto con l’Altro è inevitabilmente asimmetrico, l’Altro è colui che ci apre e ci rinvia alla trascendenza, facendoci evadere da noi stessi. L’intersoggettività asimmetrica è il luogo di una trascendenza in cui il soggetto, pur conservando la sua struttura di soggetto, ha la possibilità di non ritornare fatalmente su se stesso, di essere fecondo e di avere un figlio

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Brano ritagliato dall'articolo pubblicato il 13 aprile 2011 da GIAN GABRIELE VERTOVA.

Laureato in Lettere all’Università cattolica del Sacro Cuore, è stato fino al 2009 docente di Lettere (Italiane e Latine) al Liceo Classico Statale "P. Sarpi" di Bergamo

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