Riflettendo sulla fede di Abramo mi chiedo con Gian Gabriele Vertova, autore del brano sotto riportato, se i cristiani credono davvero, o se la loro fede si sia fermata al primo secolo quando fu loro chiaro che il mondo non stava finendo, come inizialmente avevano interpretato il messaggio di Gesù. Inizialmente perché poi il testimone passò ai "padri" della chiesa che compirono l'opera di ellenizzazione del pensiero ebraico dando vita al cristianesimo.
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A differenza delle vicende di Mosè o di Geremia, il testo che racconta la chiamata non dice nulla della reazione psicologica di Abramo. C’è solo la chiamata del Signore e il silenzio di Abramo con la sua risposta nella vita. Forse l’autore ha l’intenzione di sottolineare che la fede di Abramo non è solo adesione interiore, è soprattutto obbedienza esteriore, come è ovvio che sia la fede.
Abramo parte davvero, inizia l’avventura della fede ebraica, della Halakhà (la via, il cammino dell’obbedienza alla legge). Abramo è per questo punto di riferimento comune alle tre grandi confessioni monoteiste in quanto archetipo, modello primitivo e universale del credente: la fede non è una convinzione intellettuale, la fede è mettersi in viaggio, giocare la propria vita sulla base della Parola di Dio.
È di Emmanuel Lévinas la celebre frase: «Al mito di Ulisse che ritorna ad Itaca, vorremmo opporre la storia di Abramo che lascia per sempre la patria per una terra ancora sconosciuta».
Da questo punto di vista il viaggio di Ulisse è più facile di quello di Abramo. Per Lévinas l’avventura ebraica di Abramo è diversa e ben più dura di quella greco-classica di Ulisse.
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Rischi e difficoltà sono enormi, ma Ulisse sa dove va, lo aspettano una casa, una patria, volti noti ed amati. Ogni dolore, ogni sventura è più sopportabile quando si ha una precisa idea del loro superamento.
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Abramo invece conosce solo quello che lascia, non sa come sarà la terra dove arriverà. I suoi ricordi rimandano a immagini e cose che non vedrà più. Il suo futuro non è un ritorno, ma una continua partenza.
Per questo, secondo Filippo Gentiloni, il nòstos, il viaggio di ritorno di Ulisse avrebbe preso il sopravvento nella tradizione cristiana rispetto al viaggio di Abramo: alla speranza cristiana si sono voluti attribuire oggetti certi e predefiniti; il Regno di Gesù ha avuto i contorni rassicuranti di un’Itaca con i contenuti della propria vicenda umana, lasciando poco spazio all’incertezza dell’azione dell’Altro.
I cristiani hanno voluto darsi un’identità definita una volta per tutte, si sono sedentarizzati nella contemplazione nostalgica delle proprie radici e chiusi all’avventura del viaggio verso il futuro.
(Brano estratto dall'articolo "il viaggio di Abramo e quello di Ulisse: due culture a confronto" pubblicato il 13.4.2011)