Don Aldo Antonelli, Prete freelance, scrive "Se l'Isis mi ammazza non uccidetemi una seconda volta", [Huffingtonpost, 27/07/2016].
"Se l'Isis mi ammazza non uccidetemi una seconda volta",
[Huffingtonpost, 27/07/2016].
Non succederà, ma se dovesse accadere di restare ammazzato da chicchessia, per favore, vi prego, non uccidetemi una seconda volta.
Se dovessi essere sgozzato o decapitato o sventrato da un delirante di "Allah Akbar!", vi prego, per favore, non uccidetemi due volte: non confondete l'Isis con l'Islam.
E se il mio uccisore dovesse essere un nero o un emigrato, vi prego, per favore, davanti alla mia bara non uccidete anche la mia memoria: non confondete il delinquente con l'emigrante.
Al mio funerale non voglio i maestri dell'imbroglio, i fabbricatori d'odio, coloro che investono sulle paure e coloro che fanno carriera sulle disgrazie altrui. Morirei una seconda volta. E questa volta per davvero!
P.S. Dimenticavo. Dovessi morire per mano di un qualsiasi assassino vorrei il silenzio stampa. In fondo, a morire sarei solo io. Non voglio prestarmi, nemmeno da morto, a questo gioco osceno che va in onda quotidianamente a reti unificate: quello di far credere che il nostro nemico sia l'Islam e non il terrorismo quotidiano e permanente di una finanza che affama, di un mercato che desertifica e di una politica nullafacente. E le cui vittime sono milioni e milioni, non esclusi gli stessi terroristi.
Certo sono parole emozionanti, sembrerebbe trasudino amore, misericordia, perdono. Ma a me non piacciono.
Non vuole essere usato, niente da dire, però dice anche altro, presenta un pamphlet generico, come se l'islam fosse un "di cui generico". Assalendo i media e i difetti della nostra società fa passare un messaggio di pericoloso buonismo verso i "martiri islamici".
Accettare la cattiveria insita nel "Allah Akbar" è far del male a chi la pronuncia, è blasfemìa allo stato puro che incattivisce e uccide chi la pronuncia. E' permettere che si perpetri del male su persone innocenti con durezza raccapricciante.
Questo lo riconoscono anche i "fedeli" islamici, almeno a parole, ma quella religione lo permette e quindi qualcosa non va in quella religione. Diciamolo chiaramente, non nascondiamocelo, è un punto di partenza se vogliamo intenderci con gli islamici.
Per noi occidentali c'è invece il racconto, non più solo ecclesiastico, del buon samaritano, dove viene illustrata la compassione [preciso: non generica carità ma compassione]. Quella che non ha colore o religione né nel sofferente che si lamenta né nella mano che presta soccorso. E' l'umano che è in noi che si commuove e non si gira dall'altra parte. L'umano che tutti, ma proprio tutti, hanno dentro, atei e religiosi di ogni colore.
Allora non trovo lecito nascondere i fatti sotto il tappeto, come questo reverendo suggerisce, sia perché Isis e Islam non sono un problema secondario e poi perché non è vero che muore solo lui, con lui muore un pezzo di umanità.