Corrado Ocone a commento di una foto della giocatrice egiziana di beach volley scrive:
Il problema è serio e non è semplicemente la radicalizzazione, come suol dirsi, dei terroristi, ma la radicalizzazione in senso teocratico, e quindi illiberale, di tutte le società musulmane negli ultimi decenni. È con questo fenomeno epocale che dovremmo cominciare a fare i conti "
Esempi eclatanti sono l'Iran e ora, pare, vi si avvia anche la Turchia, ma il problema è ancor più in fondo, è nelle radici della società islamica. Possiamo non considerarlo uno scontro tra religioni (ma le religioni non possono non essere coinvolte), non disconoscere che è scontro tra due società diverse, diverse proprio nel modo di concepire la vita.
E, se prima non si capisce la realtà e la si affronta nella sua crudezza, senza falsi pietismi, che cura si può proporre? Un proverbio popolare racconta che "il medico pietoso fa la piaga puzzolente" però qui è ancora da stabilire chi è il medico e chi il paziente.
da Huffingtonpost - Pubblicato: 09/08/2016
Corrado Ocone - Filosofo, liberale
Quella tunica nera e il nijab sul campo da gioco
mi lasciano perplesso
La foto della giocatrice egiziana di beach volley, che alle Olimpiadi di Rio indossa una lunga tunica nera e il nijab, cioè il velo che copre quasi tutta la testa, ha fatto il giro del web ed è stata riprodotta dai giornali di tutto il mondo. Soprattutto perché le altre giocatrici di beach volley giocano ordinariamente in bikini.
È una foto significativa, che interroga le nostre coscienze. E che genera reazioni di diverso tipo.
La prima reazione, la più immediata e ingenua, è quella di chi osserva con piacere non celato la coesistenza, in una competizione sportiva, di varie culture, tutte diverse, ognuna con il suo ordine di valori.
Un mondo colorato, vario, e perciò bello, che sembra l'apoteosi del liberalismo interpretato come relativismo morale e multiculturalismo. Cioè interpretato male, alla maniera liberal. "Sogno un mondo....", diceva John Lennon nella sua Imagine, la canzone che ha forgiato l'immaginario di molti di noi. Un bel sogno, quello di un mondo ove tutti vivono pacificamente e si esprimono a modo loro, in piena libertà. Ma un sogno, appunto.
Passato il momento della gioiosa meraviglia, è probabile che in alcuni, ma solo in alcuni, sia sorta una riflessione, che ha messo capo a una serie di domande.
Eccone alcune:
- ma non abbiamo da sempre criticato, noi progressisti e uomini emancipati, la morale cattolica, almeno così come essa veniva ancora interpretata fino a qualche decennio fa in certe sacche di bigottismo presenti nella provincia italiana?
- Non abbiamo combattuto, insieme alle nostre donne, per la liberazione del loro corpo, per una diversa morale sessuale?
- Perché dovremmo concedere alle donne di un'altra cultura quello che in passato non abbiamo concesso alla nostra?
A questo punto le strade dei così riflettenti si divaricano:
- c'è chi, francamente la minoranza (anche fra le femministe), riconosce la contraddizione;
- e c'è chi, la più parte, afferma che poi, in fin dei conti, anche la donna occidentale non è così libera. E deve sottostare a una serie di canoni di bellezza e comportamentali di tipo maschilista. O, semplicemente alle mode, pena suscitare l'ilarità dei più.
Ma, a parte il fatto, che alla moda si può anche non rispondere, o interpretarla con creatività, non mi sembra che presso di noi ci sia alcuna imposizione. La retorica di stampo francofortese ha fatto il suo tempo.
E, ammesso e non concesso che esista qualcosa come l'"industria culturale", il rapporto con le scelte dei singoli è molto dialettico e non certo biunivoco, come sanno le menti più raffinate. Un'atleta che non voglia mettersi la divisa nazionale, forse rischierebbe da noi l'epurazione dalla squadra, ma probabilmente la pressione dell'opinione pubblica sarà poi così forte che dovrà essere subito riammessa in squadra. E, sempre con molta probabilità, diventerebbe anche un'eroina pubblica. Sono le dinamiche mediatiche delle nostre società pluraliste, bellezza!
Cosa accadrebbe invece a una campionessa di un paese musulmano se si rifiutasse di vestire in un certo modo, lo lascio a voi solo immaginare.
Il problema serio, a mio avviso, è non semplicemente la radicalizzazione, come suol dirsi, dei terroristi, ma la radicalizzazione in senso teocratico, e quindi illiberale, di tutte le società musulmane negli ultimi decenni. È con questo fenomeno epocale che dovremmo cominciare a fare i conti, ma non credo che ne saremo all'altezza. Mi auguro di sbagliarmi.