Un giornalista libero tiene la schiena dritta
Di Sergio Spini
Mi propongo di esporre per quale giornalismo il direttore de “Il Corriere della Sera” Ferruccio de Bortoli propenda, iniziando con una sua affermazione:
“Al centro dell’informazione rimarrà sempre e soltanto la qualità e la credibilità di notizie e di commenti. Sarà sempre decisivo un buon giornalista.”
Il giornalista è un intermediario di realtà complesse, che devono in qualche modo essere semplificate per un lettore che, grazie a questa opera di intermediazione, diventa a sua volta un cittadino consapevole e quindi un protagonista del suo tempo. Il giornalista si occupa di tutto, riesce a descrivere e ad interpretare la realtà, purchè l’umiltà lo solleciti sempre ad essere preciso nella descrizione, competente ed onesto nell’interpretazione.
Queste sono le principali doti del vero giornalista:
- la passione per il proprio lavoro,
- l’autonomia intellettuale,
- l’operosità,
- la convinzione che nulla gli è dovuto e tutto deve saperselo conquistare,
- lo spirito di gruppo.
Non c’è Università che spieghi come tenere la schiena diritta a chi ha madornali propensioni alla riverenza. Ciò non significa trasformarsi in arroganti “signornò”, in saccenti che sdottoreggiano sulla vita e sulla morte. Significa difendere la propria autonomia, saper ascoltare e riferire, mettere insieme le notizie e saperle scegliere, stabilire una gerarchia di valori e proporre un ordine di essi. Significa avvicinarsi all’obiettività, che non è lontananza nè distacco, che consente di coniugare libertà e responsabilità.
L’importante è che un giornalista rimanga una persona libera, autentica nei suoi pregi e nei suoi difetti, anche se ha un padrone. Si può essere persone libere di spirito anche quando si hanno padroni, anche quando si ha un’etichetta addosso. Si tratta di una professione che esalta coloro che hanno la capacità di rimanere spiriti liberi e sono disposti a pagare un prezzo in termini di maggiore precarietà e minori soddisfazioni personali.
Il vero giornalista segue sei principi:
- la verità, senza la presunzione di possederla compiutamente;
- la giustizia, vale a dire l’imparzialità,
- l’impegno a distinguere la cronaca dal commento;
- la libertà, mai disgiunta dalla correttezza professionale;
- l’umanità, cioè il rispetto di tutte le persone;
- la responsabilità etica, nella consapevolezza operosa del ruolo pubblico del giornalista.
Riferendosi alla sua storia personale, così scrive Ferruccio de Bortoli: “Nei giornali c’è la libertà che ogni giornalista sa conquistarsi. Se uno è autorevole e ha le notizie difficilmente viene bloccato. Se un giornalista va dal suo direttore con una buona storia, un buon direttore non può non pubblicarla. Diciamo che molta della libertà che non abbiamo è perché non la cerchiamo. E molta della censura che qualche volte subiamo è frutto delle nostre incertezze, delle nostre inaccuratezze e, forse, anche dal nostro scarso coraggio.”
La libertà di informazione non si gioca soltanto nelle relazioni tra giornalisti e direttori, ma soprattutto nel rapporto tra redazioni ed editori. Su questo punto il pensiero di De Bortoli è al tempo stesso netto ed equilibrato.
Il peccato originale della stampa è di avere spesso degli editori che hanno gli interessi prevalenti al di fuori dell’editoria. Editori che a volte cedono alla tentazione di usare i giornali come strumenti da piegare al perseguimento dei propri interessi al di fuori dell’editoria, oppure per dare lustro ad una serie di posizioni personali o come scudo in vicende giudiziarie o come arma di pressione nei confronti di enti locali.
Non si può tuttavia negare all’imprenditoria italiana, specialmente a quella di più solida tradizione, di aver avuto e di continuare ad avere anche una funzione importante nella salvaguardia di alcune testate storiche di cui si rispettano l’identità e il prestigio.
[ ...] Scrive a questo proposito De Bortoli:
“L’editoria è fatta di azionisti che hanno non di rado interessi esterni. Non ho ancora conosciuto un editore che si lamenti del fatto che si fanno poche inchieste. Anzi!”
Parziale riproduzione dell'articolo di Sergio Spini reperito su: http://www.aiart.org/ita/web/item.asp?nav=2340