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15 dicembre 2016 4 15 /12 /dicembre /2016 07:43

 

 

Problematiche religiose senza soluzione dove unico timone, se ci fidiamo e fin  dove possiamo dar credito, potrebbe essere la  Gerarchia ecclesiastica o la storia, la storia di 2000 anni di quelli che questa fede han vissuto e tramandato.

 

  1. Se parliamo del legame tra l'universo e Dio, cioè della creazione e del suo governo non possiamo non affrontare il dilemma del tempo, cioè dell'eternità.

Nella mentalità greca espressa da un certo Democrito il tempo era circolare, si era sempre all'inizio o alla fine, a piacere di chi ci stava dentro, in un ripetersi continuo. Invece nella mentalità ebraica e poi cristiana il tempo era lineare: c'era una creazione, una maturazione e un prospettiva di fine. Chi dei due aveva ragione?  ci son prove per ambedue le tesi.

 

  1. Sempre sull'universo, in cosmologia ogni tanto si parla di possibili universi paralleli e forse lo vorremmo un mondo ignoto, ora che sappiamo che il nostro cielo è invivibile e orrido, peggio dei nostri più truci deserti, "belli" solo a vedersi.  La fede presuppone questo mondo parallelo, lo recitiamo nel "Padre nostro", (che sei nei cieli) ma davanti a questa verità, fede e fantascienza si toccano. E' un sogno o una realtà?

 

  1. Se parliamo dell'uomo, scopriamo che la medicina ha mutato la concezione che ne avevamo. Oggi lo vediamo quasi come una macchina, con pezzi trapiantabili, aggiustabili (ad esempio con dei microcip si riesce a riattivare la vista), ma soprattutto si sono messe le mani sul DNA, fino a programmare a qualche aggiustatina. Il DNA è un progetto formato dalla sintesi di due progetti (genitori) e  modificato dalla vita, per concorrere nella selezione statistica dell'evoluzione.

Allora non sarebbe più preciso vedere l'uomo come l'attualizzazione di un progetto (il DNA)? Questa è la visione dell'uomo che ci proietta la moderna medicina, senza inoltrarci nei settori collaterali, tipo la psicanalisi e la sociologia o l'intelligenza artificiale. E quindi perché non immaginare "il dopo"(detto anche paradiso) come la ri-attualizzazione del mio DNA?

 

  1. Quando poi parliamo di Gesù i problemi non sono più semplici. Io adoro Gesù, ma reputo che nella prima metà del 1900 sia stata posta una domanda corretta dai vari Bultmann, Barth, Culmann etc. Questi colti signori, pur riconoscendo che la comunità primitiva non ha prodotto una tradizione partendo dal nulla ma basandosi su elementi storici autentici, cioè su un Gesù veramente esistito, si chiedono se i vangeli ci mostrano soltanto ciò che Gesù è stato per la comunità primitiva e non ciò che Gesù è stato per se stesso?

Quelle comunità erano composte da persone per le quali la fine del mondo era dietro l'angolo e con questi occhiali han letto e tramandato il messaggio di Gesù. Qualcuno di quegli studiosi è arrivato a dire che quella delusione si tramutò nell'idea di comunità in attesa, di popolo in attesa, cioè di Chiesa e che sui vangeli sia stata aggiunta qualche postilla ad arte per meglio fondarla.

 

  1. Parliamo infine dei sacri testi e della loro ispirazione. Sappiamo che Dio non detta ma ispira, cioè aiuta l'autore a capire e ad impossessarsi di nuovi concetti, che diventano il messaggio da trasmettere.

Ma quando analizziamo quei testi ci rendiamo conto che sono tanti ad averci messo mano, almeno tre: chi ha scritto il testo di partenza (normalmente ignoto e legato culturalmente ad un ambiente), chi ne ha curato la revisione (e tutti i testi sono stati spesso e pesantemente rimaneggiati, soprattutto l'A.T.) e, infine, chi ha deciso e scelto i testi da proporre come "parola di Dio" (scartandone tanti altri). Allora la domanda è "tutti ispirati"? O forse siamo davanti ad un intervento solo autoritario, il selezionatore è il vero ispiratore?

 

Chiamano questo "il pensiero debole",  e forse lo è, ma gli assoluti non fanno per me. Accetto l'asserzione di Qoelet: "Ho deciso allora di conoscere la sapienza e la scienza, come anche la stoltezza e la follia, e ho capito che anche questo è un correre dietro al vento. Infatti: molta sapienza, molto affanno;chi accresce il sapere aumenta il dolore. (Eccle 1,17-18)

 

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