La vita non è un nostro manufatto, ma è tutto quel mistero che sta tra un primo respiro donato e un ultimo respiro ridonato.
[...] Non è vero che il progresso è un insieme di vettori orientati tutti nella stessa direzione. Per tante dimensioni della vita, la modernità ha portato grandi miglioramenti e sviluppi; non per l’arte dell’invecchiare e del morire, che sta subendo un rapido e forte arretramento.
[...] L’incontro impreparato con il decadimento fisico è devastante, perché avvertiamo la morte come il morire di tutto: noi stessi, gli amori, “la roba”, il passato, il mondo. E non stimando e non amando la vecchiaia nostra e quella degli altri, non stimiamo e non amiamo i vecchi, che sono diventati una immensa “periferia” del nostro tempo – e così la società e l’economia dilapidano un patrimonio di grande valore e valori.
[...] Una cultura che fa sempre più morire i suoi vecchi soli o in “compagnia” di altri vecchi soli è una cultura sciocca e profondamente ingrata. [...] C’è un’intera generazione di donne che sta morendo con un enorme “credito di cura”: quella che ricevono da vecchie è infinitamente minore di quella che hanno donato da giovani.
Abbiamo un vitale bisogno di nuovi carismi che ci re-insegnino l’arte della sazietà dei giorni e della bella canizie, che abbiano occhi per vedere diversamente questa grande povertà del nostro tempo, e la amino.
Senza una riconciliazione docile con la vecchiaia, questa finisce, paradossalmente, per dominare anche gli anni della giovinezza, che trascorre veloce nell’ossessione che finisca.
Brani tratti dall'editoriale "I giorni che non ci saziano" di Luigino Bruni
Pubblictodi Avvenire.it, lunedì 9 giugno 2014