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30 maggio 2017 2 30 /05 /maggio /2017 11:20

 

Nell'esaminare il movimento modernista e le condanne mosse loro (con articoli, documenti ufficiali e persino encicliche), trovo incongruenze e affermazioni presuntuose, cioè senza fondamento. Il "si è sempre fatto così" o le verità per autorità né motivate né motivabili (i dogmi) non appagano e, soprattutto, non giustificano la severità dei giudizi.

 

Da quando si è sempre fatto così e perché? Mai che costoro esamino con serenità la contingenza storica che ha portato a determinate decisioni o ad avviare procedure il cui solo valore è essere durate nel tempo. Mi colpisce soprattutto l'eccessivo peso attribuito ai primi concili, quelli celebratesi tra il 300 e il 400.

 

Il fatalismo dell'Ispirazione divina, attribuita al periodo storico della patristica per avvalorare la propria opinione, non lo condivido e non l'accetto. Lo Spirito Santo è altro e, come scrisse papa Ratinzeger, "ha a che fare con la domanda fondamentale dell’uomo: come possiamo giungere gli uni agli altri? Come è possibile che io rimanga me stesso, rispetti l’alterità dell’altro e tuttavia esca dalla gabbia della solitudine e incontri l’altro dal di dentro?"

 

Come esempio propongo il concilio tenutosi a Nicea nel 325, e lo confronto con i numeri del Vaticano II. I dati tecnici sono:

  • a Nicea parteciparono circa 400 padri, durò 18 giorni e si svolse in sessione unica, convocati e ospiti dell'imperatore Costantino.
  • a Roma (Vaticano II) parteciparono oltre 2500 padri e durò 4 anni, e si svolse in 4 sessioni, convocate da papi liberi e autonomi nelle proprie funzioni.

 

Quando fu indetto da Costatino (personalmente sulla religiosità di Costantino nutro molti dubbi, non afferro ancora quali fossero i suoi veri obiettivi, fin dove arrivasse il suo machiavellismo) erano passati 3 secoli dalla morte di Gesù, cioè erano trascorse oltre 12 generazioni. Almeno 9 erano le generazioni dalla morte dell'ultimo apostolo.

Per i Cristiani, allontanati dall'ombrello protettivo della sinagoga, mantenere la purezza della rivelazione nel tempo era divenuto un problema non da poco, e ogni giorno era un giorno in più che li distanziava  dal punto d'origine

  • dall'autorità rivelatrice di Gesù,
  • dal fascino degli apostoli che avevano memoria delle Sue spiegazioni,
  • dai racconti di quelli che avevano conosciuto gli apostoli,
  • dalla memoria sempre più fumosa degli anziani che ricordavano quello che avevano detto quelli che avevano conosciuto coloro che avevano conosciuto gli apostoli.

Un lento degrado era quindi naturale ed era in corso, il che regalava spazi a nuovi profeti e a vecchie abitudini. Rammento qui il personaggio di Ario o le piccole riconquiste di propri spazi da parte di valori e di usi pagani, ancora vivi e presenti nell'aria in quel periodo storico. Ma c'era pure da riorganizzare una comunità che si andava sfaldando poiché non più tenuta unita dalla presenza di nemici intorno.

Narrano le cronache che fu un concilio di liti e scontri anche fisici, ma era necessario accordarsi. L'alternativa era la fine dell'avventura. Quei padri conciliari, e quelli di altri concili immediatamente successivi a Nicea, ebbero il merito di farlo e l'avventura è potuta arrivare fino a noi.

 

E il Concilio Vaticano II nel confronto con Nicea come va letto: Continuazione o ripartenza?

Certo 12 generazioni sono meno delle 70 generazioni per giungere al Vaticano II. Ma i mezzi a disposizione del nostro secolo ci accostano molto, ma molto di più di loro al periodo apostolico, cioè ai depositari della rivelazione.  Una considerazione questa che limita l'autorità attribuita alla patristica e pone l'esigenza di tornare disincantati alle fonti. 

Perché rifiutarsi di ripercorrere i loro problemi e riverificare la validità delle loro interpretazioni sulla Rivelazione? Le loro soluzioni organizzative? Questo non è modernismo questo è onestà mentale.

E chiudo con un'autorevole conferma al mio pensiero. Una conferma letta su "l'osservatore romano.it" del 31.5.2017 a firma  Dario Vitali (Prof. della Pontificia Università Gregoriana):
 
La Lumen Gentium afferma la precedenza del popolo di Dio sulla gerarchia, della vita teologale sulle funzioni ministeriali e gli stati di vita[...]
 
Non si tratta di negare la gerarchia per innalzare i laici, di cancellare le funzioni per affermare un potere concorrente del popolo di Dio; si tratta piuttosto di tornare ai giusti processi ecclesiali, in grado di garantire la crescita della Chiesa come «comunità di fede, speranza e carità» [...]
 
L’uso polemico che è stato fatto di questi temi, mettendo in competizione il sacerdozio comune con il sacerdozio ministeriale, e opponendo l’autorità dottrinale dei fedeli al Magistero della Chiesa, ha spinto quest’ultimo a inquadrare la teologia del popolo di Dio e, in particolare, il sensus fidei nel fenomeno del dissenso.

 

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