Sull'Avvenire.it del 29.7.17, il Direttore Marco Tarquinio cita una frase di Paolo VI «l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che non i maestri o, se ascolta i maestri, lo fa perché sono testimoni» [Paolo VI].
Questo rilevazione è assolutamente sottoscrivibile ma non credo sia una riflessione troppo originale e comunque la trovo incompleta. Personalmente mi ritrovo di più nelle parole del commediografo latino Terenzio, che nel 165 avanti Cristo scrisse: Homo sum, humani nihil a me alienum puto [che significa: Nulla che sia umano mi è estraneo].
Di originale nella frase del Papa trovo solo l'aggettivo "contemporaneo". Non so se la sua presenza sia solo casuale o voluta e sicuramente aveva altri obiettivi nel ragionamento che stava sviluppando, ma non posso non avvertirla come una pesante critica al nostro modo di vivere, dove la parola ha perso valore, appare priva di una forza propria, gli manca lo smalto del sogno che apre alla scoperta. Se è validata solo dalle azioni allora è come un suono al vento, inutile.
E oggi è così, le parole, comunque espresse( in immagini in suoni in parole scritte o pronunciate, via TV, telefonini, radio etc), sono talmente tante che non comunicano più, ci soffocano con quantità impossibili da valutare e catalogare.
E mentre le parole non mancano, anzi sono troppe e ci piovono intorno come bombe d'acqua noi abbiamo perso il gusto del silenzio, dell'ascolto della valutazione serena dei ragionamenti altrui. Abbiamo perso una parte importante dell'uomo: la parola.