La PRO/VERSI (Associazione di Promozione Sociale ETIPUBLICA di Pescara) nel recensire il libri di Oscar Cullmann "Immortalità dell'anima o risurrezione dei morti?" ( Paideia, 1986) scrive:
L'idea di immortalità dell'anima è uno dei più grandi equivoci del cristianesimo. Vi è una intrinseca incompatibilità tra la dottrina greca dell'immortalità dell'anima immateriale, che si inscrive nel quadro culturale greco in cui la morte è parte dell'ordine divino del cosmo, e la credenza nella resurrezione del corpo, che è ancorata all'evento della morte e resurrezione del Cristo.
Solitamente viene asserita una fondamentale compatibilità tra la dottrina della sopravvivenza dell'anima immateriale e la credenza nella resurrezione del corpo; anzi, la combinazione di immortalità dell'anima e resurrezione del corpo è stata, nella teologica cristiana, la visione standard. Al contrario, Oscar Cullmann sostiene un'intrinseca incompatibilità tra la dottrina della sopravvivenza dell'anima immateriale e la credenza nella resurrezione del corpo.
Cullmann, nella prefazione al suo libro, scrive:
il legame stabilito fra la 'risurrezione dei morti' e la credenza nell’'immortalità dell'anima' in realtà non è neppure un legame, ma una rinuncia all'una in favore dell'altra: si è sacrificato al Fedone il capitolo 15 della prima epistola ai Corinzi.
Non giova dissimulare questo fatto come si fa oggi tanto spesso, cercando di mettere insieme ciò che in realtà è incompatibile, con questo ragionamento un po' semplicistico: ciò che, nella dottrina cristiana, ci sembra inconciliabile con la credenza nell'immortalità dell'anima, ossia la risurrezione propriamente detta, non sarebbe un'affermazione essenziale per i primi cristiani ma un semplice adattamento alle espressioni mitologiche del pensiero del loro tempo, e l'intenzione profonda che ne forma la sostanza minerebbe anche l'immortalità dell'anima.
Bisogna invece riconoscere lealmente che proprio quanto distingue la speranza cristiana dalla credenza greca è il centro stesso della fede del cristianesimo primitivo.
Ed Enzo Bianchi in un suo ariticolo (apparso lunedì 24 giugno 2013 su www.avvenire.it) scrive:
Sembra che la resurrezione della carne, la resurrezione dei nostri corpi, sia l’elemento più strano che la fede cristiana chiede di credere. Non a caso, dalle analisi sociologiche condotte sulla fede degli italiani risulta che, se la maggior parte della popolazione crede in Dio, neanche il 20% crede nella resurrezione della carne.
[...] la critica di chi non crede può anche essere feroce: il credere alla resurrezione sarebbe soltanto un artificio per negare la realtà della morte; sarebbe soprattutto, per gli spiriti deboli, un modo di raggiungere nell’aldilà ciò che non hanno saputo essere nell’al di qua; sarebbe una preoccupazione egocentrica, una non accettazione del fatto che nel mondo tutto nasce, cresce e muore. Oppure una forma di rassegnazione, una via per evadere dal duro mestiere di vivere, mettendo la speranza solo nell’aldilà… Queste critiche dovrebbero essere prese sul serio, dovrebbero stimolarci a un esame approfondito della nostra fede e del modo in cui la presentiamo.
[...] Ma il fondamento della fede cristiana, più che nelle parole di Gesù, sta nella storia, nell’evento in cui il Padre ha definitivamente e in modo manifesto «costituito Signore e Cristo quel Gesù che era stato condannato e crocifisso» (At 2,36). Seppellito nella tomba la vigilia di Pasqua, il 7 aprile del 30 d.C., Gesù è stato richiamato alla vita eterna da Dio.
Quell’evento della resurrezione non fu la rianimazione di un corpo cadaverico, non fu un ritorno alla vita fisica, ma fu un evento in cui Dio attraverso la potenza dello Spirito santo vinse la morte e trasfigurò il corpo mortale di Gesù in un corpo vivente per l’eternità. Gesù oltrepassò la barriera della morte, il suo corpo morì realmente ma non fu soggetto alla corruzione (cf. At 13,34-37), perché «si alzò», «si svegliò» di tra i morti ed entrò nella vita eterna.
[...] la resurrezione di Gesù non significa soltanto che – come per ogni grande personaggio storico – la sua causa continua, che il suo insegnamento non muore, che il suo messaggio è vivente, bensì che lui, la sua intera persona umana, morta in croce e sepolta, è stata resuscitata da Dio a vita gloriosa ed eterna.
[...] Scriveva Tertulliano: «Dio ama la carne plasmata dalle sue mani: come potrebbe dunque questa non risorgere dai morti?». Il linguaggio umano è insufficiente, mancante, ma ormai non si può più pensare Dio senza cogliere la nostra umanità risorta e glorificata in lui. Qui dobbiamo accettare di fare silenzio, di non trovare le parole adatte, di metterci una mano davanti alla bocca e non dire di più.
Come risorgeremo? Che corpo avremo (cf. 1Cor 15,35)? Le parole di Gesù e degli apostoli ci devono bastare: alla fine dei tempi, quando il Signore Gesù verrà nella sua gloria (cf. Mc 13.26 e par.; Mt 25,31), la sua potenza trasfigurerà i nostri corpi mortali in corpi gloriosi (Fil 3,21). Nulla di ciò che ha costituito la nostra vita, la nostra persona, andrà perduto. Siamo carne nel mondo della vita animale terrestre, siamo corpo come vite individuali: resurrezione della carne indica lo stesso evento nel quale ciò che è corruttibile si rivestirà di incorruttibilità e ciò che è mortale di immortalità (cf. 1Cor 15,51-53). Il nostro corpo mortale è infatti seme del nostro corpo risorto (cf. 1Cor 15,42-44). Saremo un corpo il cui principio vitale non sarà più quello biologico, ma un corpo animato dallo Spirito santo: il corpo del Figlio di Dio!