Dieci giorni fa leggevo su quasi tutti i giornali "La Sea Watch ha raggiunto Lampedusa e si trova alla fonda a meno di un miglio dal porto dell’isola."
Era partito un altro braccio di ferro
- tra il nostro governo (nostro perché è di tutti noi, che ci piaccia o no, perché questa è la democrazia, han ricevuto la maggioranza dei voti, esplicitano la volontà dei più)
- e gli "umanitari" dall'altra. Ancora una volta i buoni che salvano caricano gli altri di responsabilità e doveri. La loro azione dura il tempo di percorrere qualche miglio di mare. Forse è un tragitto anche pericoloso ma dura poco e si sa quando inizia e quando finisce.
Ne deriva una guerra di logoramento, senza bandiere. Dove l'affogante e il suo salvatore (è un salvatore sia chi va per mare a raccoglierli sia chi è costretto a prendersene cura) affogano insieme per mancanza di buon senso, per cavilli legali in un mare di illegalità, per un dopo caricato con incoscienza sulle spalle di altri. Infatti chi va per mare si dichiara buono, ma è buono chi tortura i “non torturati” sovvertendo ogni ordine civile?
"Gli umanitari" vivono da cicale come se non ci fosse un seguito. Ma il seguito c’è e sovverte i rapporti: tra stati tra regioni tra quartieri tra noi tutti. Questo è il prezzo che stiamo pagando per salvare dei suicidi, che poi sono i più intraprendenti manco i più poveri.
Salvare in mare non può essere la soluzione, anche perché è una partita di sbarchi appena iniziata.