Tutti sosteniamo una tesi o almeno propendiamo verso una soluzione vicina alla nostra indole, non necessariamente per malizia. Ecco un esempio illuminante tratto dal libro L’IDEA DI GIUSTIZIA del Nobel Amarty Sen.
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Al cuore del problema di determinare in modo imparziale un’unica versione della società perfettamente giusta si situa la possibilità che siano sostenibili più tesi argomentate sulla giustizia, tra loro concorrenti, ciascuna delle quali soddisfi i requisiti dell’imparzialità, e nondimeno si differenzi e si contrapponga alle altre.
Mi si consenta di illustrare il problema con un esempio. Si tratta di decidere a quale di tre bambini – Anne, Bob e Carla – debba essere dato un flauto per il quale stanno litigando.
1. Anne pretende il flauto perché è l’unica dei tre che lo sappia suonare (circostanza che gli altri riconoscono), e certo sarebbe ingiusto negare lo strumento all’unica persona che sa davvero adoperarlo. Se l’unica informazione in nostro possesso fosse questa, saremmo fortemente orientati ad assegnare il flauto alla prima bambina.
2. In una scena alternativa, però, parla Bob, il quale giustifica le proprie pretese sul flauto con il fatto di essere così povero da non avere neanche un giocattolo: nel flauto troverebbe qualcosa con cui giocare (e le due bambine non negano di essere più ricche e di avere molti giocattoli con cui divertirsi). Se ascoltassimo soltanto Bob, senza sentire le bambine, avremmo tutte le ragioni per dare a lui il flauto.
3. Una terza scena ci presenta Carla, che fa notare di essersi applicata per mesi e mesi con diligenza per costruire il flauto con le proprie mani (e gli altri due confermano) e, appena terminata l’opera, «proprio allora» protesta «questi ladri di cose altrui sono venuti a portarmi via il flauto». Se non avessimo altra dichiarazione che quella di Carla, saremmo con ogni probabilità propensi a dare il flauto a lei, riconoscendo ragionevoli le sue pretese su un oggetto che ha creato con le sue mani
Dopo avere ascoltato le argomentazioni di tutti e tre, prendere una decisione non è facile. Per teorici di scuole diverse – utilitarismo, egualitarismo economico, liberalismo pratico – è probabile che la soluzione giusta sia lì pronta, e tutt’altro che difficile da individuare. Ma, quasi certamente, la soluzione che ciascuno di loro presenterà come evidentemente giusta sarà del tutto diversa da quella degli altri.
1. A Bob, il bambino più povero, andrà il pieno appoggio dell’egualitarista, orientato a ridurre le differenze nella ripartizione delle risorse economiche tra gli individui. Carla, l’artefice del flauto, si guadagnerà immediatamente la simpatia del liberalista.
2. L’esponente dell’utilitarismo edonista si troverà più in imbarazzo, ma con ogni probabilità tenderà a tenere in maggiore considerazione, rispetto al liberalista e all’egualitarista, il fatto che a ricavare dal flauto il massimo piacere sarebbe Anne, l’unica in grado di suonarlo (come dice il vecchio adagio waste not, want not, «nessuno spreco, nessun bisogno»). L’utilitarista dovrà peraltro riconoscere che Bob, per il relativo stato di privazione in cui versa, sarebbe colui che dal possesso del flauto ricaverebbe il più consistente guadagno di felicità. Il «diritto» vantato da Carla sul possesso di ciò che ha realizzato, invece, non troverà l’immediato consenso nell’utilitarista, anche se un utilitarismo ben ponderato non mancherebbe di considerare il ruolo degli incentivi al lavoro nella creazione di una società in cui la produzione di beni viene incoraggiata lasciando che gli individui tengano per sé ciò che hanno prodotto con i propri sforzi.*
3. Il favore del liberalista per l’assegnazione del flauto a Carla non dipenderà, come nel caso dell’utilitarista, dalla considerazione di effetti incentivanti, perché per un liberalista il diritto di una persona a possedere quanto ha creato è fuori discussione. Per certi aspetti, l’idea che esista un diritto sui frutti del proprio lavoro accomuna gli esponenti della destra liberalista e quelli della sinistra marxista (per quanto gli uni possano sentirsi a disagio in compagnia degli altri).**
In ogni modo, è importante osservare quanto sia difficile liquidare come infondata ciascuna delle tre istanze, basate rispettivamente sulla realizzazione della persona, sul contrasto alla povertà e sulla legittimità di godersi i frutti del proprio lavoro. Le varie risposte offrono tutte argomenti seri e potremmo non essere in grado, a meno di non incorrere in un certo arbitrio, di indicarne una destinata a prevalere sotto ogni aspetto.
Vorrei inoltre richiamare l’attenzione sul fatto, peraltro evidente, che le differenze tra gli argomenti avanzati dai tre bambini non riguardano divergenze su che cosa sia il vantaggio personale (è il possesso del flauto, identificato come un vantaggio da tutti e tre e da ciascuno reclamato con le debite argomentazioni), ma sui principi generali che dovrebbero regolare la distribuzione delle risorse. Riguardano, quindi, l’organizzazione della società e la scelta delle istituzioni, e di conseguenza le concrete realizzazioni sociali che ne emergono. Non si tratta soltanto della diversità fra gli interessi personali dei tre bambini (che pure sussiste), ma del fatto che ciascuna delle argomentazioni da loro proposte fa appello a un diverso tipo di ragione imparziale e non arbitraria.
Questo si applica non solo alla connotazione dell’equità nella rawlsiana posizione originaria, ma anche ad altri richiami all’imparzialità, per esempio l’esigenza avanzata da Thomas Scanlon che i nostri principi soddisfino criteri «che nessuno possa ragionevolmente rifiutare». Come abbiamo detto, teorici di diverso orientamento – utilitaristi, egualitaristi economici, teorizzatori del diritto del lavoro e liberalisti pratici – sosterranno con ogni probabilità l’esistenza di un’unica risposta giusta e immediatamente identificabile, ma tale evidenza sarà da loro indicata in soluzioni affatto diverse. È invece possibile che non esista alcun assetto sociale perfettamente giusto, sul quale vi possa essere un consenso imparziale.