L'universalità non sta nelle cose ma nei filtri con cui l’uomo la recepisce (…così mi pare insegni Kant), cioè avendo una identica metodologia e identici filtri reputiamo universali i nostri risultati conoscitivi.
Il problema gnoseologico quindi si sposta sui filtri che adottiamo in quanto uomini. E sono proprio questi filtri conoscitivi che grazie alle scienze son diventati più "acuti". Quello che ci circonda non è cambiato, ma sul nostro naso sono poggiati occhiali che ci mostrano qualcosa che non vedevamo.
Non intendo entrare nel merito delle altre importanti dottrine in mutazione, cioè
- degli studi di fisica quantistica che mettono in crisi la nostra conoscenza della meccanica e persino i nostri concetti sul tempo;
- dei voli nello spazio con qualche visitina alla desertica luna o approdi su orridi asteroidi che ci fanno ripensare ai religiosi concetti di cielo;
- dell’elettronica/informatica che stanno azzerando lo spazio, rendendo reale l’invisibile e imitabile l’intelligenza dell’uomo.
Ecco un’altra scoperta che sradica molte filosofie e riordina tante biblioteche di antropologia. Riporto e propongo alla vostra riflessione la sintesi con cui si apre il libro di Guido Barbujani, Sillabario di genetica per principianti (Bompiani, 2019):
Il DNA delle nostre cellule, il genoma, è un messaggio dal passato. I mittenti sono milioni di nostri antenati, e il contenuto sono le istruzioni che permettono alla cellula uovo fecondata di moltiplicarsi fino a formare l’organismo complesso che siamo noi, e di farlo funzionare.
Da qualche anno leggere cosa c’è scritto nel genoma è tecnicamente possibile, con poca spesa e su larga scala.
Di questo testo immenso, lungo quanto seimila volumi dei Promessi sposi,
- conosciamo l’alfabeto, cioè le quattro basi che, in lunghe file, formano i cromosomi;
- ne comprendiamo il lessico, cioè cosa significano le singole parole che lo compongono, i geni;
- siamo invece lontani dal capirne la sintassi, cioè il modo in cui ogni gene risponde al funzionamento degli altri geni e ai messaggi provenienti dall’ambiente.
Quindi oggi leggendo il DNA riusciamo a prevedere le malattie più semplici, quelle che dipendono da un solo gene, mentre non ne sappiamo ancora abbastanza per sapere se ci verrà il diabete, il cancro, la pressione alta o il Parkinson, o anche solo quale sarà il nostro girovita.
Però abbiamo imparato tante cose che a lungo ci sono sfuggite; la sfida è orientarsi in questa formidabile complessità, e non solo per chi fa ricerca biomedica o studia l’evoluzione:
- il DNA è entrato dappertutto, nelle aule dei tribunali come nei siti web che ci offrono a pagamento rivelazioni sulla nostra identità;
- i giornali annunciano di continuo la scoperta di geni che ci renderebbero intelligenti, o timidi, o sexy, o propensi alla delinquenza;
- e siamo chiamati, come cittadini, a prendere decisioni su quali dati genetici personali sia lecito o utile rendere pubblici, o su quanto e come sia legittimo modificare il DNA degli organismi, compreso il nostro.