Norbert Elias è stato un sociologo tedesco di origini ebraiche morto nel 1990 a 93 anni. Il libro da cui ho estratto queste pagine risale al 1985, quando aveva 85 anni.
Trentacinque anni fa non c'era ancora il Covid-19, ma esse anticipano le riflessioni in cui siamo coinvolti oggi.
[...] Ci sono vari modi di affrontare il fatto che ogni vita, e dunque anche la nostra e quella delle persone che amiamo, avrà fine.
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Possiamo mitologizzare la fine della vita umana, che chiamiamo morte, immaginando una sopravvivenza comune dei morti nell'Ade, nel Walhalla, nell'inferno o nel paradiso; questa è la forma più antica e più diffusa assunta dai tentativi compiuti dall'uomo per risolvere il problema della finitezza della vita.
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Si può cercare di eludere il pensiero della morte allontanando da sé, per quanto possibile, ciò che ci è sgradito, celando o rimuovendo questo pensiero, o forse anche credendo fermamente nella propria immortalità («muoiono gli altri, non io»); questa tendenza si manifesta con molta chiarezza nelle società avanzate contemporanee.
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Possiamo infine guardare in faccia la morte come uno degli aspetti della nostra esistenza;
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possiamo organizzare la nostra vita, soprattutto le nostre relazioni con gli altri, in funzione della durata limitata della nostra esistenza.
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Possiamo considerare nostro dovere rendere quanto più facile e gradevole possibile il commiato dei moribondi dagli uomini, si tratti di noi o di altri, e chiederci come sia possibile assolvere tale compito. Oggigiorno questo problema è affrontato in modo chiaro e diretto tutt'al più da alcuni medici; raramente però la società, intesa in senso lato, si interroga al proposito.
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Comunque il problema non riguarda solo la conclusione definitiva della vita, il certificato di morte o l'urna; molti uomini muoiono un poco alla volta: diventano infermi, invecchiano.
Le ultime ore sono importanti, naturalmente, ma spesso il commiato ha inizio assai prima.
Già l’infermità di per sé separa l'individuo senescente dalla cerchia dei viventi: la decadenza fisica lo isola. Egli evita i contatti umani, l'intensità dei suoi sentimenti si affievolisce senza che svanisca il suo bisogno degli altri. Ecco l'aspetto più duro: la silenziosa esclusione degli individui senescenti e morenti dalla comunità umana, il progressivo raffreddamento del loro rapporto con individui con cui avevano legami affettivi; e soprattutto il distacco dagli individui che han dato senso e sicurezza alla loro vita.
La decadenza fisica non è dura soltanto per coloro che soffrono ma anche per quelli che rimangono soli. Una delle carenze delle società avanzate si palesa nell'isolamento prematuro — anche se non deliberato — cui sono condannati i morenti. Questo isolamento testimonia quanto siano limitate le capacità degli individui di identificarsi gli uni con gli altri.
(Norbert Elias, La solitudine del morente,Società editrice il Mulino, 1985