Certo queste minime indicazioni andrebbero meglio articolate: come parlare adeguatamente del mistero del Creatore? Come dire il Suo agire in un cosmo descritto in modo così raffinato dalla scienza? Come parlare di un operare che si realizza nel segreto, entro e attraverso le cause indagate dalla scienza; che non fa immediatamente le cose, ma piuttosto fa sì che esse si facciano (P. Teilhard de Chardin); che si muove entro lo spazio dei possibili orientandolo al futuro (J. Moltmann)?
Prospettive affascinanti, che chi scrive ha esaminato altrove, ma che vanno largamente al di là di quanto sia possibile esprimere in una prefazione. Ciò che interessa qui è piuttosto sottolineare che il riferimento a Lui non modifica le realtà che vediamo, ma allarga piuttosto lo sguardo che volgiamo ad esse. In tal senso, tra le tre domande delle critiche kantiane, il riferimento a Dio ha forse a che fare soprattutto con quella che recita “Cosa possiamo sperare?”.
La parola Dio dice, infatti, di una speranza che è per la nostra esistenza personale (un futuro, oltre la finitezza della vita); che interessa la storia umana (una promessa di libertà e conoscenza oltre l’ignoranza e l’oppressione); che tocca addirittura il futuro del cosmo tutto.
Chi confessa il Creatore custodisce la convinzione nella possibilità di una novità che va oltre ciò che possiamo estrapolare dall’analisi del presente, ma si radica piuttosto nella fiducia nello Spirito, che abita il creato e lo rinnova. Una fiducia che per molti è aiuto a «camminare nella speranza» – per riprendere ancora una volta le parole di Papa Francesco, nelle ultime battute della Laudato Si’
(Introduzione di Simone Morandini al libro "La genetica diDio" di Francisco Collins, ed Castelvecchi, 2018)