E’ morto Ratzinger. E’stato papa, ma alla sua morte il documento più citato dai media è stata la Lectio magistralis tenuta all’Università di Ratisbona nel 2006. Un uomo silenzioso che, per non far rumore, si muoveva in pantofole (rosse ovviamente), ma che quella volta imprudentemente sollevò polvere insanguinata e tanta.
Un discorso che avevo già letto sedici anni fa, ma su cui son tornato sopra con testardaggine. Volevo capire. Molta acqua era passata sotto i miei ponti, tanti libri e tanti temi avevano arricchito le pareti della mia mente, ma lo lessi... e lo rilessi. Ad ogni passaggio di rilettura scoprivo nuove ricchezze e inesplorate soluzioni.
Parlava a degli universitari, quindi spiegava loro che non potevano permettersi il lusso di considerare la teologia come uno studio sul “nulla”, quasi fosse tempo sprecato.
E qui inizia il suo ragionamento che invita a considerare lo studio della "scienza" come lo studio di una parte della teologia, un conoscere di più su Dio e non contro Dio.
Srotola quindi con competenza i dati storici, ci racconta lo sviluppo del nostro modo di pensare, il percorso del pensiero biblico nell'incorporare il pensiero greco. Racconta come si è avviato un nuovo modo di pensare che, grazie a questo connubio, ha creato l'Europa.
Ma questa analisi storica porta anche ai problemi di oggi.
Pertanto egli si intrattiene a lungo sul concetto di de-ellenizzazione. Il nocciolo, l'obiettivo della lectio m’è parsa proprio la difesa dell'ellenizzazione avvenuta nella Chiesa primitiva, grazie anche a Paolo.
Un connubio da cui non divorziare, ma un matrimonio da stringere ancor di più studiando matematica, astronomia, fisica, chimica, medicina, neurologia, genetica, evoluzione, informatica, sociologia, psicologia, etc etc. Studiando senza la presunzione degli ignoranti, senza logiche emozionali, ma con il rispetto e l'umiltà del non specialista.
Per me è stato illuminante, consolante, mi ha fatto sentire in compagnia. Mi ha indicato una strada.
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APPUNTI DI LETTURA (con il copia-incolla)
Si dice che nella nostra università ci sia una stranezza:
"due facoltà che si occupavano di una cosa che non esiste: di Dio."
Anche di fronte ad uno scetticismo così radicale resta necessario e ragionevole interrogarsi su Dio. [Ma come dice]...Il dotto imperatore bizantino Manuele II Paleolog: "La fede è frutto dell'anima, non del corpo."
"Dio non si compiace del sangue. Non agire secondo ragione (σὺν λόγω) è contrario alla natura di Dio." ...La violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell'anima. Chi quindi vuole condurre qualcuno alla fede ha bisogno della capacità di parlare bene e di ragionare correttamente, non invece della violenza e della minaccia… Per convincere un'anima ragionevole non è necessario disporre né del proprio braccio, né di strumenti per colpire né di qualunque altro mezzo con cui si possa minacciare una persona di morte…"
[Si apre così] un dilemma nella comprensione di Dio e quindi nella realizzazione concreta della religione, un dilemma che oggi ci sfida in modo molto diretto. La convinzione che agire contro la ragione sia in contraddizione con la natura di Dio, è soltanto un pensiero greco o vale sempre e per se stesso?
Io penso che in questo punto si manifesti la profonda concordanza tra ciò che è greco nel senso migliore e ciò che è fede in Dio sul fondamento della Bibbia.
In realtà, questo avvicinamento ormai era avviato da molto tempo. Già il nome misterioso di Dio dal roveto ardente, che distacca questo Dio dall'insieme delle divinità con molteplici nomi affermando soltanto il suo "Io sono", il suo essere, è, nei confronti del mito, una contestazione con la quale sta in intima analogia il tentativo di Socrate di vincere e superare il mito stesso.
Il processo iniziato presso il roveto raggiunge, all'interno dell'Antico Testamento, una nuova maturità durante l'esilio, dove il Dio d'Israele, ora privo della Terra e del culto, si annuncia come il Dio del cielo e della terra, presentandosi con una semplice formula che prolunga la parola del roveto: "Io sono".
Con questa nuova conoscenza di Dio va di pari passo una specie di illuminismo, che si esprime in modo drastico nella derisione delle divinità che sarebbero soltanto opera delle mani dell'uomo (cfr Sal 115). Così, nonostante tutta la durezza del disaccordo con i sovrani ellenistici, che volevano ottenere con la forza l'adeguamento allo stile di vita greco e al loro culto idolatrico, la fede biblica, durante l'epoca ellenistica, andava interiormente incontro alla parte migliore del pensiero greco, fino ad un contatto vicendevole che si è poi realizzato specialmente nella tarda letteratura sapienziale.
Oggi noi sappiamo che la traduzione greca dell'Antico Testamento, realizzata in Alessandria – la "Settanta" –, è più di una semplice (da valutare forse in modo addirittura poco positivo) traduzione del testo ebraico: è infatti una testimonianza testuale a se stante e uno specifico importante passo della storia della Rivelazione, nel quale si è realizzato questo incontro in un modo che per la nascita del cristianesimo e la sua divulgazione ha avuto un significato decisivo.
Nel profondo, vi si tratta dell'incontro tra fede e ragione, tra autentico illuminismo e religione. Partendo veramente dall'intima natura della fede cristiana e, al contempo, dalla natura del pensiero greco fuso ormai con la fede, Manuele II poteva dire: Non agire "con il logos" è contrario alla natura di Dio.
Per onestà bisogna annotare a questo punto che, nel tardo Medioevo, si sono sviluppate nella teologia tendenze che rompono questa sintesi tra spirito greco e spirito cristiano. In contrasto con il cosiddetto intellettualismo agostiniano e tomista iniziò con Duns Scoto
Alla tesi che il patrimonio greco, criticamente purificato, sia una parte integrante della fede cristiana, si oppone la richiesta della deellenizzazione del cristianesimo – una richiesta che dall'inizio dell'età moderna domina in modo crescente la ricerca teologica
… La deellenizzazione emerge dapprima in connessione con i postulati della Riforma del XVI secolo... i riformatori si vedevano di fronte ad una sistematizzazione della fede condizionata totalmente dalla filosofia, di fronte cioè ad una determinazione della fede dall'esterno in forza di un modo di pensare che non derivava da essa. Così la fede non appariva più come vivente parola storica, ma come elemento inserito nella struttura di un sistema filosofico
… La teologia liberale del XIX e del XX secolo apportò una seconda onda ... Il ritorno al semplice uomo Gesù e al suo messaggio semplice, che verrebbe prima di tutte le teologizzazioni e, appunto, anche prima delle ellenizzazioni: sarebbe questo messaggio semplice che costituirebbe il vero culmine dello sviluppo religioso dell'umanità. Gesù avrebbe dato un addio al culto in favore della morale. In definitiva, Egli viene rappresentato come padre di un messaggio morale umanitario.
… terza onda ... In considerazione dell’incontro con la molteplicità delle culture si ama dire oggi che la sintesi con l’ellenismo, compiutasi nella Chiesa antica, sarebbe stata una prima inculturazione, che non dovrebbe vincolare le altre culture. Queste dovrebbero avere il diritto di tornare indietro fino al punto che precedeva quella inculturazione per scoprire il semplice messaggio del Nuovo Testamento ed inculturarlo poi di nuovo nei loro rispettivi ambienti. ....Importante per le nostre riflessioni, comunque, è ancora il fatto che il metodo come tale esclude il problema Dio, facendolo apparire come problema ascientifico o pre-scientifico.
E conclude la lectio così:
La moderna ragione propria delle scienze naturali porta in sé un interrogativo che la trascende insieme con le sue possibilità metodiche.
Essa stessa deve semplicemente accettare la struttura razionale della materia e la corrispondenza tra il nostro spirito e le strutture razionali operanti nella natura come un dato di fatto, sul quale si basa il suo percorso metodico.
Ma la domanda sul perché di questo dato di fatto esiste deve essere affidata dalle scienze naturali ad altri livelli e modi del pensare – alla filosofia e alla teologia.
Per la filosofia e, in modo diverso, per la teologia, l'ascoltare le grandi esperienze e convinzioni delle tradizioni religiose dell'umanità, specialmente quella della fede cristiana, costituisce una fonte di conoscenza.
Rifiutarsi ad essa significherebbe una riduzione inaccettabile del nostro ascoltare e rispondere