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3 maggio 2023 3 03 /05 /maggio /2023 04:47

 

Nel discorso di Benedetto XVI A Ratisbona mi ha colpito questa asserzione:

Qui si apre, nella comprensione di Dio e quindi nella realizzazione concreta della religione, un dilemma che oggi ci sfida in modo molto diretto. La convinzione che agire contro la ragione sia in contraddizione con la natura di Dio, che sia soltanto un pensiero greco o valga sempre e per se stesso? Io penso che in questo punto si manifesti la profonda concordanza tra ciò che è greco nel senso migliore e ciò che è fede in Dio sul fondamento della Bibbia

(Dal Discorso di Benedetto XVI all'Università di Ratisbona, del 12 settembre 2006).

 

Ci sentivo del vero in queste affermazioni, ma non riuscivo a razionalizzarle. Senza mattoni non si costruisce una casa, così senza informazioni fondate anche il ragionare gira a vuoto. Ora Mauro Pellerino nel suo libro “Qabbalah Ologramma dell'Infinito” (di cui sono entrato in possesso casualmente) mi ha aperto uno spiraglio. Fa un valido confronto tra le due mentalità:  

 

I greci erano molto forti sulla conoscenza, ma deboli sul significato; mentre gli ebrei dedicavano poco tempo per l’epistemologia, ma riempivano il mondo di visione e senso del significato.

 

Per l’ebreo del Vecchio Testamento la realtà si identifica con la Creazione. Questo modo di pensare è molto lontano dallo spirito greco che indaga obiettivamente tutto quello che si presenta ai sensi ed alla mente, utilizzando la ragione considerata come funzione caratteristica e specifica dell’intelletto. 

 

Per il greco, tutto è oggetto di indagine e di discussione, perfino l’atto del pensare. L’interesse dell’ebreo si concentra invece, quasi esclusivamente sugli stati d’animo. Per lui, la causa dinamica dei fenomeni risiede in una volontà superiore che si manifesta e la si può scoprire nell’organizzazione della natura, volontà suprema davanti la quale l’uomo non può far altro che tacere, impressionato dalla rivelazione di una sapienza che lo supera infinitamente e che contiene la sua. Quello che l’ebreo cerca di conoscere nella natura non è il meccanismo nascosto che pone tutto in un movimento armonico; ma l’intenzione misteriosa che vuole le cose così come gli appaiono.

 

 Il greco vede il mondo muoversi e svolgersi in una successione infinita di situazioni e di fatti strettamente condizionati l’uno dall’altro e che si determinano reciprocamente. L’ebreo vede il mondo muoversi per l’intervento di una volontà unica e suprema che lo condiziona secondo uno scopo che egli non osa nemmeno indagare. 

 

Sente che la ragione lo pone di poco al di sotto della divinità, ma è convinto anche che questa stessa ragione è condizionata e donata da Dio. Nel greco la ragione è lo strumento essenziale di tutto quello che può essere conosciuto; mentre nell’ebreo la conoscenza ha la sua sorgente fuori di lui; essa gli viene donata insieme alla ragione. Per l’ebreo biblico l’osservazione della natura si risolve regolarmente in contemplazione passiva Sal.104. 

 

In estrema sintesi la distinzione tra la speculazione ebraica che affonda le sue radici nel pensiero biblico e il pensiero filosofico scientifico greco può essere riassunta in cinque aspetti. Essi definiscono altrettanti motivi per i quali il pensiero ebraico si differenzia dalle tendenze fondamentali del pensiero scientifico moderno il quale, almeno per questi aspetti, si ricollega alla tradizione greca. 

 

  1. Il primo aspetto è la contrapposizione tra una visione che ha come centro il problema della conoscenza ed una visione che attribuisce invece un’importanza primaria al problema del significato. Si tratta, in definitiva, della contrapposizione fra approccio epistemologico approccio ermeneutica.
  2. La seconda divergenza concerne la visione del mondo che, nel caso ebraico è soggettivistica, mentre nel caso greco è soprattutto oggettivistica. 
  3. A questa divergenza se ne collega un’altra: mentre la visione oggettivistica della conoscenza della realtà conduce a una divisione del mondo in due (da un lato la sfera dei fenomeni naturali, dall’altro la sfera dei fenomeni psichici), nel pensiero ebraico è presente una forte spinta verso una visione unitaria del mondo. 
  4. Ne discende (ed è questo il quarto aspetto) una diversa attenzione per i problemi della psicologia dell’uomo: questa attenzione è molto maggiore nel pensiero ebraico. 
  5. Infine, mentre l’approccio oggettivistico ai fenomeni naturali conduce alla progressiva affermazione di una visione deterministica (che diventerà nell’epoca moderna il nucleo dell'ontologia e dell’epistemologia scientifica), il pensiero ebraico è più attento al ruolo dell’intenzione, della scelta soggettiva e della finalità.

 

[Estratto dal libro di Mauro Pellerino, Qabbalah Ologramma dell'Infinito, ed. Academia.edu]

 

Ma così il problema più che risolversi si complica.  Benedetto XVI lo risolve facile quando dice “Io penso che in questo punto si manifesti la profonda concordanza tra ciò che è greco nel senso migliore [nota: chi sceglie cosa è migliore? O semplicemente è individuato in quello che conviene al mio argomentare?] e ciò che è fede in Dio”. Personalmente mi viene da pensare e da chiedermi se si possa essere cristiani senza circoncidersi, senza diventare ebrei.

 

Quando nell’importante riunione del 49 d.c. a Gerusalemme, poi chiamata Concilio di Gerusalemme o Concilio Apostolico, al problema dei “cristiani non ebrei” non venne data una soluzione pratica, venne semplicemente bypassato l problema, consigliando palliativi recuperi solo formali.

 

Questa “non soluzione”, invero poco coraggiosa, ormai da secoli sta diventando sempre più un laccio, di pari passo con lo svilupparsi della scienza e dell’autonomia del pensiero. Mauro Pellerino ci rende consci, forse involontariamente, che il problema non è formale ma strutturale, perché io sono greco, sono occidentale. Questo è il mondo in cui vivo, questa è l’aria che respiro.

 

Pertanto, se fossi interrogato, onestamente da che parte mi collocherei in ognuno dei 5 punti che lui individua? Esiste o può esistere una sintesi tra questi due punti di vista, ma nell’inconscio e non solo nella formalità delle parole?

 

Gesù era Ebreo, i suoi primi seguaci erano quasi tutti ebrei e pensavano da ebrei, questa è la cruda verità storica.

 

Ad essere ottimisti posso pensare che Gesù fosse superiore ai vincoli derivanti dal suo essere ebreo e che la poca chiarezza sia dovuta a chi ha trasmesso il messaggio. Certo il problema di 2000 anni fa ce lo troviamo tra i piedi ancora oggi, e se prima aveva svuotato le chiese dagli “intellettuali”, oggi le sta svuotando dai fedeli.

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