Il filo conduttore delle letture di ieri 11 giugno è l'attraversamento del deserto.
Certo che l’Eucarestia ha un suo rilievo, anzi è la “festa” della domenica, ma senza il riferimento al deserto degli Israeliti il racconto sarebbe di più difficile comprensione e di minore impatto sui nostri convincimenti.
È nella prima lettura che questa tematica è proposta. Con i due brani del capitolo 8 di Deuteronomio (2-3, 14-16) la Commissione liturgica ci lancia alcuni messaggi.
Mosè parlò al popolo dicendo:
«Ricòrdati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore, se tu avresti osservato o no i suoi comandi.
Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore (2-3).
[Non dimenticare] il Signore, tuo Dio, che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile; che ti ha condotto per questo deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senz’acqua; che ha fatto sgorgare per te l’acqua dalla roccia durissima; che nel deserto ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri (14-16)»
Ma non vi pare che queste parole riassumano la vita di ognuno di noi?
Infatti è con questo pessimismo che ci raccontano la vita i filosofi, i letterati e persino i cantanti. Essi sono ben più drastici del deuteronomista, che pure non scherza. Chi di noi non mai letto o pensato che si nasce per morire o ha cantato con Fabrizio De André “quando si muore si muore soli”.
Ma il brano Deuteronomico narra anche di un secondo lamento, quello di Dio, un Dio antropomorfico per evidenti esigenze di comunicazione. E’ nel primo versetto che Dio si lamenta della scarsa riconoscenza di un popolo che Lui ha scelto ed elenca quello che Lui ha fatto per loro.
A mio parere il Deuteronomista si spinge anche un po’ troppo avanti quando attribuisce a Dio una sorta di cattiveria in nome di una prova cui li deve o li vuole sottoporre (mi ricorda Giobbe), ma se ben si legge Lui conosce la durezza dell’attraversamento, il duro viaggio di ogni singolo vivente per raggiungere “la terra promessa”, ma non stravolge la realtà delle cose, è vero che non appare ma ricorda che Lui c’è sempre.
E quando ricompare per porre fine a uno dei tanti drammi, si lamenta. Lui vorrebbe fiducia. Se non lo vedono non possono pensare di essere traditi e abbandonati, questo l’offende. La vita è un crudo deserto da attraversare, ma non è concessa la mancanza di fiducia in base a valutazioni solamente umane. Lui c’è ma non snatura il suo creato.
In questo panorama si inquadra Gesù e il suo prolungarsi nell’Eucarestia. Lui si proclama la manna dei nostri secoli, con cui poterci nutrire per superare il nostro pezzo di deserto. E’ Lui l’impossibile acqua che sgorga dalla roccia. Un regalo non un premio, un occhio che ci segue in ogni attimo e in ogni nostra scelta.
Paolo aggiunge ancora un altro concetto, l’effetto comunitario. Il partecipare alla vita Divina ci rende corpo unico. Reciprocamente empatici. Popolo.