Stefano Levi della Torre nel suo libro titolato “Dio” (ed. Boringhieri 2020), scrive:
La meccanica quantistica (ne parlo per suggestioni, non per competenza) ha trasformato in scienza una considerazione che un tempo apparteneva alla sapienza e alla teologia: l’impossibilità di conoscere i fenomeni fino in fondo.
L’atto stesso del conoscere interferisce con l’oggetto della conoscenza, la separazione tra soggetto e oggetto, tra chi vede e ciò che è visto, si rivela evanescente, perché entrambi sono coinvolti nello stesso processo. Il fotone del raggio grazie al quale «vediamo» l’elettrone, lo sposta e non sappiamo più dove esso sia. Ogni evento è solo traccia di un evento, una sua eventualità.
Le leggi certe della fisica classica, e il suo determinismo, sono diventati probabilità e indeterminazione. Il rapporto tra causa ed effetto non descrive più un fatto ma una possibilità e una congettura.
La fisica quantistica è neo-arrivata ed è oggi al vertice del nostro sapere scientifico. Eppure la millenaria metodologia biblica adottata per descrivere il rapporto dell’uomo con Dio e di Dio con l’uomo, non si discosta di molto. Sembrerebbe che la nuova scienza estenda l’aura di mistero che circonda Dio alla nostra conoscenza delle cose, divenuta ormai regno della matematica, eppure indispensabile per le nuove strumentazioni.
A conferma delle parole di Levi della Torre ho scelto tre brani Biblici, che narrano episodi topici nella storia di Israele.
Il primo brano narra di un uomo (Mosè, 1250 a.c.) che vuole conoscere Dio, lo vorrebbe vedere, lo vorrebbe incontrare.
Mosé è esplicito nella sua richiesta: «Mostrami la tua gloria!».
Dio non si rifiuta, semplicemente lo grazia, perché vedere Lui sarebbe troppo per un uomo. Gli concede di vederlo di spalle.
Ora Mosè sa, sa che Dio c’è, che non è un sogno, un’illusione, una creazione della propria mente. Ma un dubbio non può non sorgere, come potrà riconoscerlo? come potrà essere certo, se dovesse incontrarlo? come saprà che le spalle enormi che sta guardando sono di Dio?
Alla domanda su come si riconosce Dio pur non vedendolo risponde Isaia (740 a.c.). Il suo racconto è meraviglioso. L’Olimpo fu inventato per spiegare la natura, per dare corpo e senso ai rumori della natura. Invece Isaia ci dice che il Signore non era né vento, né terremoto, né fuoco, queste sono solo manifestazioni naturali. Dio è altro. Dio è serenità, è una brezza leggera che ristora l’intimo.
Per finire riporto un brano di Paolo (60 d.c.) in cui propone una spiegazione alla fede.
Una spiegazione che ci proietta oltre la morte. Pare un invito ad accettare i propri limiti, a riconoscerci uomini, a non dar corpo a nuovi Dei poiché succubi a fatti naturali.
Lui resta comunque Dio, nel buono e nel cattivo tempo
Sicuramente Paolo sta rispondendo a persone che lo interpellano sulla fede, persone cui pesa credere senza certezze tangibili, com’è proprio dell’umano sentire.
Ecco la trascrizione dei tre brani biblici cui faccio riferimento, nella traduzione detta “Bibbia di Gerusalemme”.
(Es 33,18-23)
[...] Ora, se davvero ho trovato grazia ai tuoi occhi, indicami la tua via, così che io ti conosca e trovi grazia ai tuoi occhi; considera che questa nazione è il tuo popolo».
Gli disse:
«Mostrami la tua gloria!».
Rispose:
«Farò passare davanti a te tutta la mia bontà e proclamerò il mio nome, Signore, davanti a te. A chi vorrò far grazia farò grazia e di chi vorrò aver misericordia avrò misericordia». «Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo».
Aggiunse il Signore:
«Ecco un luogo vicino a me. Tu starai sopra la rupe: quando passerà la mia gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano, finché non sarò passato.
Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non si può vedere»
(Es 33,18-23)
(1Re 19,9-13)
[Isaia ...] Con la forza di quel cibo camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l'Oreb. 9Là entrò in una caverna per passarvi la notte, quand'ecco
gli fu rivolta la parola del Signore in questi termini:
«Che cosa fai qui, Elia?».
10Egli rispose:
«Sono pieno di zelo per il Signore, Dio degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi cercano di togliermi la vita».
11Gli disse:
«Esci e férmati sul monte alla presenza del Signore».
Ed ecco che il Signore passò.
Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento, un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. 12Dopo il terremoto, un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. 13Come l'udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all'ingresso della caverna.
Ed ecco, venne a lui una voce che gli diceva:
«Che cosa fai qui, Elia?».
14Egli rispose:
«Sono pieno di zelo per il Signore, Dio degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi cercano di togliermi la vita».
(1Cor 13,12ss)
Paolo nella prima Lettera ai Corinzi, tratta il tema, ma è meno assertivo, meno minaccioso del racconto dell'Esodo, spiega ma ribadisce tutti i concetti. Scrive :
«Poiché possediamo la scienza e abbiamo la profezia in modo imperfetto, ma quando verrà ciò che è perfetto, ciò che è imperfetto sparirà [...].
Adesso infatti vediamo come in uno specchio, in un’ombra; allora invece vedremo faccia a faccia.
Adesso io conosco imperfettamente, ma allora conoscerò appieno, come sono conosciuto.