Riflessioni sulle liturgiche di domenica 19-11-2023
Nel brano proposto della sua lettera (1ts 5,1-6) Paolo ancora una volta ricorda a chi crede che ci attende un giudizio dove renderemo conto del nostro agire, di come abbiamo usato i nostri giorni, il nostro tempo.
E’ in quest'ottica che credo debba essere interpretata la parabola di Matteo, cioè il messaggio liturgico di questa domenica. (Mt 25,14-30)
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni.
A uno diede cinque talenti (un talento d'argento, al cambio attuale, varrebbe oltre 22 mila euro), a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.
Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.
Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse.
Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti
Per prima cosa vorrei staccarmi da un equivoco. I talenti non sono capacità ma sono soldi, parte di un tesoro. La parabola dice chiaramente che la quantità di monete da gestire ci è data date in base alle nostre capacità individuali.
Quali sono le capacità individuali? Esse sono tutte quelle in cui e con cui ci troviamo a vivere, con cui nasciamo e di cui non portiamo né merito né colpa, tipo:
Essere uomo o essere donna,
Essere bianco o nero o giallo
Vivere in occidente o in oriente, in Patagonia o in Svezia,
Nascere in ambiente cristiano o mussulmano, buddista o pagano
Nascere in una famiglia agiata o in una famiglia alla fame.
Aver potuto laurearsi o non aver avuto possibilità di studiare.
… e così via.
Nessuno di noi ha colpe su come nasciamo o dove nasciamo o quando nasciamo e, infatti, la parabola non imputa colpe sul merito, si limita a chieder conto della porzione di patrimonio divino che ci è stata affidata, cioè di cosa abbiamo combinato di "positivo" in vita.
Io non so esattamente cosa voglia dire questo "far rendere un capitale" (che poi significa render conto della propria vita a chi ce l'ha data), ma so che le doti personali e l'industriosità sono due cose ben distinte.
Come non credo esistano delle formali regole di valutazione, ho la sensazione che ognuno o almeno ogni gruppo abbia le sue. Di universale, cioè per ogni uomo, esiste solo una sensazione di inutilità, questo si, ma è individuale, è nella coscienza di ognuno.
Notevole, in questo un particolare, una delicatezza tutta “divina”, nessuno viene caricato oltre quello che può portare. E' anche un Padrone di poche pretese, non pretende che si raddoppi il capitale, gli basta solo un pochino, che ci si lavori.
Purtroppo le interpretazioni classiche di questa parabola confondono la capacità con l'impegno. Che sia uno sgravarsi dalle responsabilità? Infatti tale interpretazione ci permette di di asserire che "se avessi avuto avrei fatto", cioè sempre colpa di altri, possibilmente del giudice. Cioè cerca di dare la colpa a Dio?
Il brano estratto dal libro dei proverbi (Pr 31,10-13.19-20.30-31) ci mostra un esempio “da cinque talenti”, quando ci racconta di come spende la sua vita una donna ideale.
Ovviamente nel leggere dobbiamo ricordarci che a scrivere è un uomo di 2500 anni fa, che vive in oriente, e che è anche un ebreo devoto, ma lui ci disegna la sua donna ideale (... sarebbe un sogno anche oggi!).
Mi chiedo, però, come disegnerebbe un maschio ideale?
o un pagano ideale della foresta amazzonica?
O un nero nelle piantagioni di cotone?
Mi chiedo pure di quante monete (talenti) è il paniere affidato a chi è nato cristiano?