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7 settembre 2024 6 07 /09 /settembre /2024 17:49

 

In questi giorni Papa Francesco è in Indonesia

 

A  parte la palese difesa dei suoi cristiani spesso “perseguitati”. Vi sono anche parole e atteggiamenti che ricordano precedenti avventure di altri cristiani predicatori in quelle terre lontane e a noi estranee. 

 

Qualche mese fa m’è capitato di leggere un libro di Adriano Prosperi sul tema "Missionari. Dalle Indie remote alle Indie interne", Editori Laterza 2024. Un libro che tratta dei problemi di comunicazione vissuti dagli avventurosi  predicatori del Cinquecento (XVI secolo). Cioè tratta delle difficoltà incontrate da chi era arrivato e viveva sul posto, i missionari, e da chi in Roma concedeva permessi dottrinali senza capire culture diverse.

 

Ci vollero secoli perché capissimo che là dove sorge il sole c’erano e ci sono civiltà strutturate e antiche più delle nostre che pescano nel Mediterraneo e sono greco dipendenti.

 

In particolare mi son ritornate alla mente i racconti di Marco Polo del XIII secolo e  i resoconti  di Valignano in Giappone e del Ricci in Cina, sui  loro tentativi di intendere usi e costumi dei nuovi interlocutori cui volevano presentare il “Vangelo”. Furono i primi a capire umilmente di muoversi non più in nel mondo del greco Aristotele o dello Scolastico Tommaso. Pertanto tentarono ogni strategia e si resero duttili il più possibile  così da superare le asperità e le differenze tra due mondi lontani, due concezioni di vita diverse ma di pari validità. 

 

Ecco un brano del libro citato:

 

Insomma, miracoli non se ne vedevano. E allora bisognava, prima di predicare il Vangelo e di pensare alle conversioni, trovarsi un posto in quella società, farsi accettare. Era l’abito che diventava decisivo per il monaco: più della professione pubblica delle virtù cristiane, infatti, importavano gli abiti con cui presentarsi a quei popoli diversi.

 

Ecco dunque la rapida metamorfosi dell’abito: se all’inizio il Ricci si era vestito «al modo della Cina, lasciandoci la berretta quadra per memoria della Croce», ben presto finì per togliersi anche questa e indossò «una berretta assai stravagante, acuta come quella de’ vescovi per totalmente farmi China». Stravagante per i lettori europei, perché per i cinesi significava qualcosa di molto preciso: Matteo Ricci aveva maturato la decisione di presentarsi come un letterato. 

 

La strategia flessibile dell’accomodamento richiedeva una costante attenzione alle regole locali: se il Valignano in Giappone aveva convinto i gesuiti a identificarsi coi bonzi buddisti, qui una scelta identica sarebbe stata erronea perché, come il Ricci si accorse rapidamente, «il nome di Bonzi nella Cina è in molto basso concetto»: pertanto, egli scrive, «determinai di lasciar il nome di Bonzi e mettermi in abito e stato di predicatore». Forse il nome di «predicatore» non era il più vicino alla realtà che Ricci voleva descrivere; ma certo era il più adatto per rendere quella scelta gradita a chi in Italia doveva sapere e approvare. 

 

Ormai il gioco delle immagini riflesse, dei mascheramenti, dei filtri verbali doveva essere giocato contemporaneamente sui due tavoli dell’Oriente e dell’Occidente. Si doveva evitare nei limiti del possibile il ripetersi di conflitti come quello provocato a Roma dalla lettura del Cerimoniale del Valignano: conflitti che peraltro dovevano moltiplicarsi intorno alla celebre «questione dei riti».

Molti avrebbero accusato di ipocrisia simili sistemi; ma si trattava di quella speciale ipocrisia che «si acquista con l’educazione» ed era tutt’altro che priva di «criterio morale», come si dovette riconoscere anche in piena cultura romantica.

(dal libro di Adriano Prosperi, "Missionari. Dalle Indie remote alle Indie interne", Editori Laterza 2024)”

 

Ma nell’agenda cristiana di 500 anni fa, da convertire non c’era solo l’Oriente con la sua filosofia e la sua civiltà nobile e strutturata. Cristoforo Colombo, scoprendo le Americhe (era il 1492 scopriva) regalava alle brame di conquista di re e religiosi nuovi campi sterminati, dove vivevano popoli che mancando di una filosofia formale,  erano disprezzati, giudicati  ignoranti e, quindi, libero terreno di conquista. Schiavi per natura.

 

Il viaggio di Papa Francesco però non si svolge né in Oriente né nelle Americhe, ma in Oceania. L’Oceania è un mondo più simile alle Americhe di Colombo che all’Oriente di Marco Polo, dei Ricci o dei Valignano.

 

Anche l’Oceania, non possedendo una sua cultura formale,  per secoli fu considerata un terreno vergine per i predicatori occidentali, ma i mussulmani vi sono arrivati prima dei cristiani. E quindi, oggi vi si combatte una guerra di difesa dei territori, come abbiamo sempre visto nel nostro Mediterraneo.

 

Spero solo che Papa Francesco, nato in una terra di conquista come il SudAmerica, Argentina compresa, riesca a capirli e a salvare qualche vita dei suoi fedeli ...ma quante acrobazie dottrinali! E soprattutto che sia meno occidentale possibile e non dimentichi i loro punti di vista, il come ci vedono loro.


 

 

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