“Non temere” è il tema centrale di questa domenica. Un tema che si sviluppa su due punti ben distinti
- il primo ci mostra come cambia la percezione religiosa dall’Antico al Nuovo testamento, tra ebraismo e cristianesimo;
- il secondo come ci vede Dio, cioè come siamo realmente.
L’AT parla di come è concepita la fede in Israele sia nel salmo 145, che canta di un Dio affidabile “Il Signore rimane fedele per sempre”, sia con Elia ove appare potente fino a rendere sicuro il cibo alla vedova. Dio è protezione.
Ma la percezione religiosa nel NT, cioè nella Chiesa di Cristo, è ben diversa da quella rilevabile nell'AT, sono diversi gli obiettivi.
Allo scopo vi propongo un brano estratto dal secondo capitolo del libro “Antropologia delle origini” di A.Destro e M. Pesce. Gli autori, in questo capitolo, esaminano il nuovo popolo di Dio secondo Paolo, cioè la natura sociale delle chiese paoline, e scrivono:
[...] il punto importante è che la Ecclesia non si propone come «società» globalmente alternativa o sostitutiva [alla sinagoga o alla società greco-romana in cui questo gruppo è inserito], ma come una formazione che si insinua o si incunea nei punti di contrasto interno della società (i rapporti schiavo-libero, uomo-donna, circonciso-incirconciso), quelli cioè che identificano le aree relazionali più vitali, ma più problematiche.
Nei tre luoghi della contraddizione socioculturale fondamentale non viene proposta una risistemazione ideale di rapporti sociali bensì un processo di inversione personale, all’interno del proprio ambito sociale.
Che si tratti di un fatto interiore lo mostra anche una celebre affermazione della Seconda lettera ai Corinzi: «il nostro uomo di dentro si rinnova».
Nei suoi elementi fondamentali, tutto il processo è sintetizzato da Paolo nella frase che abbiamo appena citato dalla Lettera ai Romani. Il punto di inizio è dato dal distacco dallo schema del mondo («non assumete il medesimo schema»). L'obiettivo è la «metamorfosi» dell’uomo. Il suo strumento, come si è detto, è il rinnovamento nella mente. Lo «schema di questo mondo» non viene sostituito da un altro schema sociale, ma dall’assunzione, nella propria interiorità (l’«uomo di dentro») di una realtà diversa e soprannaturale (la «forma» di Cristo).
L'obiettivo massimo che l’uomo può raggiungere è la «perfezione» nell’obbedienza alla volontà di Dio. Si tratta di un processo di sostituzione mistica, non sociale. Si tratta di un cambiamento radicale, non delle coordinate abituali della vita della polis, ma del modo con cui il credente vive in essa. La novità dunque non può esistere altro che all’interno delle condizioni «attuali» del mondo. Non esiste un progetto di trasformazione politica della polis. Il nuovo politeuma, la nuova cittadinanza a cui il credente tende è solo nei cieli, non in questo mondo.
Ma c’è anche una seconda riflessione che sgorga dalle letture di oggi e ce le presenta Marco. E’ come se ci chiedesse “come ti vede Dio?”.
La risposta che propone era nuova allora, anche se per noi oggi è chiara: non è il vestito, seppur santo, che fa il santo e non è il “quanto” che conta, ma il rapporto con la generosità che lo genera.
1Re 17,10-16 Dal primo libro dei Re
Sal 145
Eb 9,24-28 Dalla lettera agli Ebrei
Mc 12,38-44 Dal Vangelo secondo Marco