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2 dicembre 2012 7 02 /12 /dicembre /2012 07:05

Leggevo il testo  relativo alle crociate (... e che qui riporto) e riflettevo sulle attuali  battaglie in  favore del Eluana Englaro, alle battaglie feroci sull''aborto, e mi chiedevo perché alcune uccisioni sono giustificate, sono giustificabili seppur con penitenza, e altre no?  

A me pare che cambino solo le finalità. Che sia guerra, che sia aborto diretto o indiretto, che sia eutanasia, si tratta di uccidere. E' l'uomo che decide di uccidere e uccide. 

 

E' lecito uccidere?

 

Riflettendo sulle crociate m'accorgo che le campagne sui principi sono teorie false perché a corrente alternata. Il discorso va affrontato, quindi, non sul principioi ma sulla giustificazione dell'eccezione. In altre parole le finalità giustificano anche l'uccisione. E quindi  chi ha il diritto di definire il quando è lecito e il quando no?

 

Le crociate tolgono certamente questo diritto alla Santa Madre Chiesa, meglio alla sua gerarchia. Ha già sbagliato altre volte: vedi le teorie di Agostino, vedi  i capellani militari e vedi oltre 200 anni di crociate.

 

 

^^^^

La crociata pone un problema sempre presente alla coscienza degli uomini: quello della legittimità della guerra.

 

Sarebbe facile contrapporre all'appello di Urbano ll l'immagine di una cristianità primitiva fondamentalmente contraria a ogni forma di violenza, cosa che non rientra nelle nostre intenzioni. La presenza, nel Decalogo, di un precetto che proibisce l'uccisione di un essere umano non ha mai impedito al popolo d'Israele di condurre guerre ritenute  perfettamente legittime. E la chiesa dei primi secoli ha contato nelle sue file soldati che si rifiutavano di sacrificare agli dei, ma non di combattere secondo la loro condizione.

 

L'impero romano cristianizzato ha continuato a usare la guerra come un mezzo per perseguire il proprio fine politico e, in primo luogo, la propria difesa. E i teologi si sono dati da fare per conciliare le esigenze della legge divina con gli imperativi del potere. Sia la Chiesa bizantina che la Chiesa romana hanno continuato a ritenere riprovevole l'uccisione di qualsiasi essere umano. La prima esigeva una penitenza dal soldato che aveva ucciso un nemico, e non diversamente si esprime il Penitenziale di Alano di Lille: «Chiunque abbia ucciso un pagano o un giudeo», scrive in sostanza, «dovrà assoggettarsi a una penitenza di quaranta giorni, perché colui che egli ha ucciso è una creatura di Dio che avrebbe potuto essere condotta alla salvezza».Ciò non impedisce che le necessità dello stato possano rendere inevitabile la guerra.

 

La Chiesa ha riconosciuto al sovrano il diritto di ricorrervi e di chiamare i suoi sudditi a parteciparvi, nella misura in cui si trattava di assicurare la propria difesa: dobbiamo a sant'Agostino la definizione di una guerra giusta - che è appunto quella condotta dai cristiani e dalla "patria dei cristiani" contro un ingiusto aggressore.

 

La Chiesa non deve intervenire in ciò che è di competenza del potere sovrano, quello dell'imperatore. Può al massimo ottenere che gli ecclesiastici e i vescovi siano esonerati dall'obbligo di servire in armi, cosa che li costringerebbe a versare del sangue.

 

Ma anche per questo principio vengono fatte delle eccezioni. Gli imperatori hanno spesso incaricato i vescovi di ottemperare a obblighi che erano invece di loro stretta competenza, e questi, assumendo il ruolo di padri del loro popolo, sono stati indotti in alcuni casi a promuovere la difesa della propria città, come accadde ad esempio contro

)

 gli Unni e i Vandali. Ciò nonostante, essi preferiscono piuttosto tentare di proteggere le loro pecorelle negoziando con gli avversari: all'inizio dell'invasione musulmana, molti prelati si sono incaricati di condurre le trattative per la resa della loro città.

 

Non abbiamo difficoltà ad ammettere che quando in quello che era stato l'impero romano si insediarono i regni barbarici, società guerriere si sostituirono alla società civile, e che questo portò a un'esaltazione della guerra fino ad allora estranea alla mentalità dei popoli cristiani.

 

Non cercheremo di mettere in discussione questo dato: riteniamo sufficiente ricordare che, secondo molti autori, da qui avrebbe avuto origine la concezione di una "guerra santa", cioè del ricorso alla guerra come mezzo per estendere il regno del Cristo attraverso l'eliminazione fisica o la conversione forzata degli infedeli. E si cita come esempio Carlo Magno, che conduce contro i Sassoni una guerra che si conclude solo, secondo quanto dice Eginardo, con la distruzione degli idoli e il battesimo dei pagani.

 

Bisogna inoltre costatare, seguendo lo stesso autore, che i Sassoni erano dei vicini molto scomodi per il popolo dei Franchi e che l'imperatore ha forse obbedito a imperativi di altro tipo oltre al semplice desiderio di imporre a quel popolo la fede cristiana.

 

L'immagine di un Carlo Magno «missionario e guerriero», come ha scritto Robert Folz, deve molto a sviluppi e aggiunte di epoca posteriore, di cui si sono alimentati i poemi epici del ciclo di Carlo Magno, che si sviluppano intorno al tema principale della  lotta  di  quest'ultimo contro  i  Saraceni  di Spagna o d'Italia.

  

(J. Richard, Grande storia delle crociate, Newton&Compton editori, Roma, 1999)

 



 

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