3 novembre 2010
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Riflettendo sul Natale (2006) mi sono accorto di uno strano parallelo tra
il racconto di Luca e la mia fede nella divinità di Cristo, che poi
è la nascita di Cristo in me. Un parallelo di nudità ed estrema
povertà, quasi come se la "nascita" avvenuta nel mio pensiero non
valga niente, non segni la mia esistenza.
L'idea della divinità di Cristo era stata concepita in me senza
alcuna mia attività: i genitori non me li ero scelti ed ero neonato
quando mi battezzarono.
Quest'idea ebbe una gestazione lunga, di oltre quattro decenni. Una
gestazione portata avanti nascosta, quasi fosse una vergognosa
macchia. Era fuori delle usanze sociali, lontana dal ben pensare di
amici e colleghi.
Poi un giorno comparve chiara nella mia mente l'idea sconvolgente
che Lui, l'IO SONO QUELLO CHE SONO, era nato, era nato uomo e
quell'uomo era Dio.
Non ricordo esattamente né il quando né il come, ma quest'idea era
nata nella mia testa, ricordo solo la solitudine e l'isolamento che
l'accompagnava e che ancora perdura... molto spesso.
Infatti, già quando quest'idea apparve nella mia mente,le altre idee
non le concessero spazio, avevano attività ben più redditizie cui
dedicarsi. Esse la guardarono con altezzoso fastidio. Esse erano
platoniche o aristoteliche, scientifiche o esistenziali, sottili
psicologhe o positive attività industriali mentre quest'idea nuova
non rendeva niente. Non rendeva soldi. Non aveva il peso di "cogente
necessità" in nessuna logica, per cui non compiaceva neanche il
gusto di brillanti esposizioni teoretiche. Ebbi la fortuna che le
altre idee non la rifiutarono, anche se la relegarono fuori del
paese, faccia quel che vuole purché non disturbi.
Così il giorno della sua nascita gli tributai onore solo come uomo
piegato dalla fatica di assicurare il pane alla famiglia (l'asino e
il bue mi rappresentano molto bene) e solo con il mio "pensiero
povero", quello che non chiede spiegazioni. Il pensiero nobile,
rappresentato dai magi, preferii non usarlo, era una porta
pericolosa, da cui cercavano di entrare le spade.
Scrivo per confessarvi che quel bimbo vive ancora in me. E' un'idea
che circondo di silenzio, che cerco di proteggere dalle altre idee,
e vorrei tanto che crescesse.
Mi auguro che il giorno della sua morte (purtroppo il Golgota
l'attende) coincida con il giorno della mia morte, vorrei che non
muoia prima, vorrei arrivarci insieme.