Feb 2010
Da una lettera ad un amico
Carissimo...
Per me una cosa non è più o meno vera in base alla dialettica di chi la pronuncia o la sostiene o la impone, come capita tante volte.
Mi ricordo che da ragazzi ci hanno insegnato che la verità è "adequatio rei et intellectus" . "Adequatio rei et intellectus" è una teoria gnoseologica nella quale si sostiene che la mente rifletta, senza sostanziali modificazioni, ciò che esiste in sé, fuori di noi.
Io condivido ancora quest'idea, ma so anche che in testa non ho idee semplici, ho idee complesse non raggiungibili con sensi, categorie kantiane o altro e che non sono innate. In me queste idee ci sono perché sono un uomo sociale, perché parlo ma soprattutto ascolto, leggo e rifletto, mi convinco. Ecco il senso della storia, essa mi ha formato. Trovo che tutto in me è fatto di questa cultura ricevuta, di "esperienze di altri" in cui navigo.
L'adequatio allora diventa fatica, diventa discernere, diventa trovare le poche pagliuzze ricche del valore incommensurabile della verità fra tanta paglia dozzinale, ce n'è un'aia intera oltrettutta battuta da venti maliziosi di chi ci vuole dalla propria parte.
Questo è il compito della storia: essa non è la ragione per cui credo in qualcosa ma perché mi offre la possibilità di capire come l'idea è maturata e soppesarne il valore veritativo. Vi invito a tornare sui personaggi che hanno strutturato la nostra fede cristiana, parlo delle prime comunità e dei padri della chiesa, quelli prima di Agostino, che poi aiutano a capire anche Agostino.
Allora la ricerca diventa passione e amore per la Verità, la Verità si slega dal pulpito, e quindi che importanza si può dare a chi l'ha pronunciata? per me nessuna.
Un caro saluto
Piero