Se la verità scorre nelle vene
di Marcello Veneziani
Provate a leggere la guerra sul dna dell'assassino di Yara in un'altra chiave, non giudiziaria. Perché la storia del dna richiama in gioco una questione più grande, più universale: quanto pesa la nostra origine sulla vita presente, quanto pesa il passato sul futuro, quanto pesano le impronte di nostro padre e di nostra madre sulla nostra vita.
È il conflitto tra la libertà e il destino, la necessità di ricordare e l'esigenza di dimenticare che si disputano a morsi e rimorsi la vita nostra. Oggi si riduce la questione a una perizia o a cronaca giudiziaria, nella Grecia di Sofocle si sarebbe scritta una tragedia, si sarebbero chiamati in causa gli dei e la Moira inesorabile e le Parche inflessibili che filano il destino.
Se vogliamo, il dna è una specie di telecamera con vista sul passato. Molti detestano le telecamere perché violano la privacy, ma sono oggi la principale risorsa per scoraggiare e scoprire i criminali. Il dna è una telecamera retrospettiva che risale ai precedenti. Nella sua scia risalgono perfino misteri del passato, storie nascoste, rapporti sessuali, paternità clandestine. Anche se vuoi cancellarlo, il passato ti inseguirà e scoprirà chi sei, da dove vieni e cosa hai fatto. Ti inchioderà alla tua identità. E se hai ucciso, sarà il dna paterno e materno a scovarti, perché il destino è una verità più forte della negazione. La verità negata dalle parole a volte scorre nelle vene della vita, si mescola nel sangue e al momento opportuno viene alla luce, come un'emorragia del destino.
da "Il giornale.it" - Sab, 21/06/2014