Liana Milella ha scritto un "pezzo" chiaro sull'argomento:
Ma perché la grazia?
Se non avessi scritto, in questi anni, decine e decine di pezzi su Berlusconi, sui suoi insulti ai pm e ai giudici, sui suoi proclami di innocenza per ogni inchiesta e ogni processo che lo ha coinvolto, adesso non starei a chiedermi – con estremo sconcerto, devo ammetterlo – che c’entra la grazia con il Cavaliere.
La mia idea di grazia fa a pugni con la sua storia. Essa dovrebbe premiare colui che ha ammesso la sua colpa e ha scontato la sua pena, oppure colui che, davvero innocente, è finito vittima di un’ingiustizia. Ma una vera ingiustizia, una sola, e non una dozzina, secondo l’improbabile teoria della persecuzione giudiziaria del fondatore di Forza Italia.
Di certo per me, normale cittadino, la grazia non dovrebbe mai diventare una “grazia di Stato”, né tantomeno un escamotage politico, come sta rischiando di diventare. Neppure uno strumento di pacificazione, soprattutto se il soggetto da “premiare” è uno come Berlusconi, che la guerra c’è l’ha nel sangue, che ha il mito del sovrano, che propugna le larghe intese solo come via di fuga da un voto che non lo ha visto vincente.
Quante volte, dal palco, ha rimproverato il suo popolo di non avergli dato il 51% per poter governare libero da vincoli e ceppi, autorizzato ad emanare decreti legge a ogni pie’ sospinto, affrancato dal rispetto che si deve al Parlamento e al suo parere definitivo? Diciamocelo, una volta per tutte: non è democratica l’ideologia di Berlusconi, ma autoritaria e totalitaria.
Se tutto questo è vero – e sappiamo bene che è vero – allora che c’entra la grazia con Uno come lui?
No, stavolta non sono affatto d’accordo neppure con Valerio Onida, il noto costituzionalista, non accetto la sua teoria che si dà la grazia al Cavaliere a patto che abbandoni la scena. Lui deve rispettare la legge come fanno tutti i cittadini. Se non lo farà, e soprattutto se sarà agevolato a non farlo, se per lui si dovesse trovare una strada storta per aggirare la legge e la condanna, allora qualunque altro cittadino potrebbe pretendere lo stesso trattamento. Sarebbe l’anarchia giuridica, sarebbe la fine dello Stato di diritto.
Non mi si dica qui che sono la solita manettara. Non è affatto così. Per una diffamazione, se con un mio scritto ho diffamato qualcuno, io pago il mio conto con la giustizia. Alla colpa voluta e perseguita con decennale sistematicità deve seguire la condanna, la pena scontata (anche ai servizi sociali visto che la legge lo prevede), la riabilitazione. Altrimenti addio regole.
Qui la pacificazione e l’agibilità politica non c’entrano nulla. In qualsiasi altro Paese Berlusconi sarebbe fuori da tutto. Qui invece, dal giorno della sentenza Mediaset, si sta solo cercando una via di fuga. Parlare di grazia con altri processi in itinere, di cui uno per reati molto gravi come il caso Ruby (prostituzione minorile e corruzione per induzione), è un clamoroso controsenso. Con che spirito, i futuri giudici, si occuperanno dei suoi dibattimenti?
Nessun cittadino italiano, nella stessa situazione giudiziaria di Berlusconi, si arrischierebbe a chiedere la grazia. Se lo facesse, vedrebbe comunque bocciata la sua richiesta.
Allora perché il Paese è bloccato su questo assurdo interrogativo?
Perché il Quirinale scrive “chiedete e vedremo” alimentando speranze?
Perché Berlusconi non si dimette da senatore evitando dannose risse sulla legge Severino, che invece viene compromessa nella sua linearità di sanzione amministrativa in chiave anti-casta?
Nella notte di Ferragosto il mio sgomento è grande di fronte a un Paese che sbanda, per favorire un condannato in via definitiva che dopo tre processi chiusi con lo stesso verdetto, dopo tanti giudici diversi, è solo pieno di livore e di odio, come dimostrano le pagine del Giornale contro il giudice Antonio Esposito e contro la corrente di Magistratura democratica.
Liana Milella
da "la repubblica.it" del 16.08.2013