Chi erano i primi cristiani, le prime comunità?
Renzo Grassano nel suo articolo sulla "teologia dell'apostolo Paolo" scrive queste righe molto significative e ben dedotte.
A leggere le lettere di San Paolo si ha l'impressione di un uso alternato di carota e bastone.
A fragorosi proclami di grandezza spirituale ed un po' ipocriti riconoscimenti di meriti alle varie comunità cristiane, seguono ammonimenti pedanti a non ubriacarsi, a non fornicare, a non dire bugie, non rubare e così via, che fanno a pugni sia con l'asserto del primato della fede che con quello dell'ormai avvenuta conquista della spiritualità. Insomma, si finisce col chiedere opere e comportamenti coerenti con la professione di fede proprio agli spirituali. Un po' ridicolo, no?
Se davvero tra i fratelli si mentiva, si rubava, si fornicava e ci si ubriacava, era evidente che la trasformazione da chiesa di quadri puri e duri a chiesa di massa aveva comportato qualche prezzo da pagare. Cani e porci erano entrati nel sacro recinto e faticavano non poco a trasformarsi in persone rette.
Così si comprendono le riserve sollevate dalla corrente di Giacomo e l'azione sobillatrice di alcuni Giudei convertiti che passavano di comunità in comunità a confutare quanto Paolo aveva proclamato, ovvero a richiedere l'osservanza della Legge, essendo insufficiente per loro la recitazione rituale di un credo.
Crebbero le incomprensioni e nacquero feroci polemiche proprio tra i quadri, per usare un'espressione moderna. Molte lettere paoline contengono denunce accorate contro questi superapostoli dell'ortodossia giudaico-cristiana.
La ragione, come spesso accade, stava da entrambe le parti, almeno un po', ma per una serie di sviluppi storici ancora tutti da decifrare, Paolo ebbe partita vinta e la corrente giudaico-cristiana si sciolse come neve al sole