Cara Gea
giorni fa son dovuto andare in ospedale per un prelievo e il parcheggio m'ha costretto ad un passaggio davanti all'obitorio.
Io non so scrivere poesie ma una riflessione su come si muore oggi l'ho fatta e te la partecipo:
Una volta.
Una volta si moriva in casa.
Volenti o nolenti erano tante le distrazioni:
il paese, i parenti, gli amici, i figli, la stessa consorte
che si manifestava addolorata per essere consolata
e tu … tu capivi, tu sorridevi, tu digrignavi,
ma eri libero di reagire come volevi
e, intanto,
ancora una volta non pensavi al dopo.
Oggi?
Oggi ti portano in ospedale,
ti spersonalizzano in un pigiama,
ti inchiodano a un materasso con una ago chiamato flebo,
ti tolgono la facoltà di decidere,
perché ora sono "loro" che decidono per te, in forza di un giuramento di vita
che "loro" hanno fatto.
Poi ti aggravi.
Allora ti portano in terapia intensiva.
Silenzio,
intorno a te solo macchinari che
ti spiano anche l'anima.
Quando si staccherà l'anima?
anche questo lo sanno "loro"
ma tu…
tu vieni intontito e non sai più se sei sveglio o dormi.
E poi? ...poi non lo saprai più.
Quindi solo apparentemente tutto si svolge in modo diverso perché, a ben considerare, la solfa è sempre la stessa. La morte fa paura ed è meglio non pensarci.