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25 febbraio 2020 2 25 /02 /febbraio /2020 08:36

Il più grande cimitero che vi sia al mondo oggi è qui, è Facebook.

Facebook, con i suoi due miliardi di utenti attivi al mese, conta attualmente oltre cinquanta milioni di utenti deceduti.

Secondo Hachem Sadikki (dottore di ricerca in Statistica presso l’Università del Massachussetts) a causa della scelta di non eliminare in modo automatico gli account degli utenti deceduti, Facebook tra qualche decennio diventerà una distesa di profili fantasma, quindi di pensieri, fotografie, video e ricordi di persone che non ci sono più, a totale portata di mano di chi è rimasto ancora in vita e si ritrova circondato da tutti questi spettri.

I defunti, ghettizzati nei cimiteri a debita distanza dal mondo dei vivi, tornano a circolare simbolicamente tra i vivi, risultando essere di nuovo a pieno titolo partner. Un nuovo Sheol.

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12 luglio 2019 5 12 /07 /luglio /2019 15:36

Se «shopping» significa analizzare l’assortimento di possibilità, esaminare, toccare, maneggiare le merci in offerta, confrontarne il costo con il portafoglio o il residuo della carta di credito, metterne qualcuna nel carrello e lasciarne altre sugli scaffali, allora compriamo sia dentro che fuori i negozi; facciamo shopping per strada e a casa, al lavoro e in vacanza, da svegli e immersi nel sonno.


Qualsiasi cosa facciamo e qualsiasi nome assegniamo alla nostra attività, è una sorta di shopping, un’attività modellata su quella dello shopping. Il codice in cui è ascritta la nostra «politica della vita» deriva dalla pratica dello shopping.  


Lo shopping non concerne semplicemente l’acquisto di beni alimentari, scarpe, automobili o elettrodomestici. L’avida, infinita ricerca di nuovi e migliori esempi e ricette di vita è anch’essa un tipo di shopping, e anche di enorme importanza, alla luce del doppio monito che la nostra felicità dipende dalla competenza personale, ma che siamo (come afferma Michael Parenti) personalmente incompetenti, o non competenti come dovremmo e potremmo se solo ci sforzassimo di più.

Ci sono moltissime aree nelle quali dobbiamo essere più competenti, e ciascuna di esse è un invito a «fare shopping». 

Facciamo shopping per cercare i
•    mezzi necessari a guadagnarci da vivere e i modi per convincere potenziali datori di lavoro che li possediamo; 
•    il tipo di immagine che ci piacerebbe avere e i modi per far credere agli altri che siamo ciò che appariamo; 
•    modi di fare nuove amicizie e di liberarci di quelle vecchie che non desideriamo più; 
•    modi per attirare l’attenzione e modi per sfuggire all’occhio indagatore; 
•    modi per trarre il massimo godimento dall’amore e modi per evitare di diventare «dipendenti» dal partner amato o che ci ama; 
•    modi per conquistare l’amore della persona amata e il modo meno costoso per troncare una relazione allorché l’amore svanisce; 
•    i migliori espedienti per risparmiare denaro per i giorni bui e il modo più conveniente di spenderlo ancor prima di averlo guadagnato; 
•    le risorse per fare più velocemente ciò che va fatto e nuove cose da fare per impiegare il tempo che ci avanza; 
•    gli alimenti più prelibati e la dieta più efficace per annullarne le conseguenze; 
•    gli amplificatori hi-fi più potenti e le pillole antiemicrania più efficaci. 

La lista della spesa non finisce mai. E tuttavia, per quanto lunga tale lista possa essere, il modo di dissociarsi dallo shopping non vi figura. E la capacità maggiormente necessaria nel nostro mondo di fini palesemente infiniti è quella di essere degli acquirenti abili e infaticabili.

(Zygmunt Bauman,  Modernità liquida, Laterza 2011)
 

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30 maggio 2019 4 30 /05 /maggio /2019 17:33

La televisione è uno strumento manipolatorio, un mezzo che sfugge al controllo dello spettatore. Spettatore che viene sempre più passivizzato e massificato dall'offerta di spettacoli grossolani, intervallati da spot pubblicitari il cui scopo è quello di far nascere nei telespettatori nuovi bisogni. 
[Ivan Illich, filosofo]

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24 aprile 2019 3 24 /04 /aprile /2019 17:38

... i due principi essenziali della nostra tradizione etico politica, di cui le nostre società sembrano aver perduto ogni consapevolezza sono: la legittimità e la legalità. 

Se la crisi che la nostra società sta attraversando è così profonda e grave, è perché essa non mette in questione soltanto la legalità delle istituzioni, ma anche la loro legittimità; non soltanto, come si ripete troppo spesso, le regole e le modalità dell’esercizio del potere, ma il principio stesso che lo fonda e legittima.     

I poteri e le istituzioni non sono oggi delegittimati perché sono caduti nell’illegalità; è vero piuttosto il contrario, e cioè che l’illegalità è così diffusa e generalizzata perché i poteri hanno smarrito ogni coscienza della loro legittimità. 

Per questo è vano credere di poter affrontare la crisi delle nostre società attraverso l’azione – certamente necessaria – del potere giudiziario: una crisi che investe la legittimità non può essere risolta soltanto sul piano del diritto. L’ipertrofia del diritto, che pretende di legiferare su tutto, tradisce anzi, attraverso un eccesso di legalità formale, la perdita di ogni legittimità sostanziale.

[Giorgio Agamben, Il mistero del male, Ed.Laterza, Bari, 2013]

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29 ottobre 2018 1 29 /10 /ottobre /2018 06:43

Propongo alla lettura un esemplare articolo di Luca Sofri con cui smaschera la superficialità e malizia con cui alcuni fatti possono essere addomesticati. 

 
 
Un colpevole al giorno

Di Luca Sofri su “il post.it”

27 ottobre 2018

 

Ci sono due cose molto lontane tra loro, sui giornali stamattina. Però c’entrano, in un modo importante. Stamattina su Repubblica c’è una lettera del comandante generale dei carabinieri sulle indagini per la morte di Stefano Cucchi. A un certo punto della lettera – dedicata molto a proclamare il concetto delle “mele marce”: «le cattive azioni di pochi» – quando il lettore dispera, l’autore infine dice l’unica cosa che è invece importante dire (e soprattutto fare): che l’Arma dei carabinieri si impegnerà perché cose di questo genere non succedano più, implicando quindi che un problema ci sia.

 

“Una sincera assunzione di responsabilità è dunque doverosa e ad essa non intendiamo sottrarci. Per il riscatto che ci chiede abbiamo una sola strada: trarre lezione anche da fatti tanto deplorevoli, per evitare che si ripetano. Li porteremo quale esempio di cosa non fare, nelle nostre Scuole, ai giovani che si sono appena arruolati. Ne discuteremo nei Reparti, dove chi opera sulla strada è costretto a fronteggiare il quotidiano oltraggio della violenza, ma a quella violenza non deve mai indulgere. Ribadiremo ai nostri ufficiali che il grado non è un peso leggero, richiede spalle robuste e animo saldo.”

 

Che il passaggio – importantissimo – non sia all’inizio delle lettera, può avere ingannato il titolista pigro: ma io penso invece che il suo sia un tic più abituale. Sia in prima pagina che all’interno, infatti, la lettera è titolata sulla punizione dei colpevoli e su “chi ha sbagliato pagherà”: frasi che leggiamo ogni volta, ritualmente e poco credibilmente; mentre, ripeto, la notizia c’è ed è “faremo in modo che le cose cambino”.

È un approccio rivelatore, e diffusissimo, quello del titolista (e del comandante): siamo tutti dentro una cultura – alimentata ogni giorno – che pensa che la priorità sia punire chi sbaglia invece che diminuire gli sbagli. Una cultura che ha messo il capro espiatorio – sia il capro colpevole o no – al centro delle cose: che risponde alla richiesta di sicurezze non aumentando la sicurezza ma additando responsabili. Una cultura che sa che ci siamo rincoglioniti abbastanza da trovare più soddisfazione nel male di un “nemico” che nel miglioramento delle cose: persino quando andiamo a votare. E per via di questa cultura noi oggi vogliamo davvero che vengano puniti i responsabili di quello che è accaduto a Cucchi più ancora che sapere che si sta facendo qualcosa perché non succeda di nuovo. Provate a pensarci: ha ragione il titolista. Saremmo disposti ad accettare l’assoluzione di tutti i colpevoli della morte di Cucchi in cambio di un efficace corso di formazione interno ai Carabinieri sui diritti e il rispetto dei cittadini, se il comandante ce lo proponesse?

 

Saremmo disposti ad accettare l’assoluzione dei colpevoli di negligenza nel caso della scala mobile di Roma, se ci venisse garantito il rinnovo di tutte le scale mobili della città? Ieri è circolato un video nuovo dell’incidente. Sulle ipotesi su cosa sia successo cito un articolo equilibrato comparso ieri sera sul sito del Corriere.

 

“Ore di filmati per arrivare a una prima conclusione. Finora però l’unica: martedì sera i tifosi del Cska Mosca non si sarebbero messi a saltare sui gradini dell’ultimo tratto della scala mobile di destra nella fermata Repubblica della metro A. E quindi non avrebbero provocato volontariamente il cedimento della struttura. È quanto emergerebbe dall’analisi dei file della videosorveglianza dei momenti immediatamente precedenti all’incidente che ha provocato 25 feriti — due dei quali in prognosi riservata, Vladimir Blokhin e Dmtry Tyurin, 37 e 33 anni — fra i tifosi ospiti diretti allo stadio Olimpico per assistere alla partita di Champions League contro la Roma. Una conferma di quanto raccontato fino a oggi dai testimoni russi, nonché descritto da quattro filmati postati sul web che mostrano come in quel momento decine di tifosi fossero tranquilli sulla scala mobile prima che il pavimento metallico si aprisse sotto i loro piedi.”

 

Oggi sul Corriere – il quotidiano – non c’è niente che aggiorni i lettori su questo sviluppo che cambia piuttosto la loro conoscenza della storia. Mercoledì, infatti, il titolo in prima pagina era stato questo.

 https://www.wittgenstein.it/wp-content/uploads/2018/10/scala_corriere.png

 

Il titolo lo vedete – “Cori e salti, la scala cede” -, se il testo fosse troppo piccolo lo incollo qui:

 

Nel momento dell’incidente i tifosi russi saltavano e gridavano.

 

Questa invece era Repubblica, che sceglieva una creativa par condicio delle ipotesi precipitose e indimostrate. Quando non sai se una cosa è vera, piuttosto che non metterla, mettila tra virgolette e metti anche il suo opposto. Tombola, doppio colpevole.

 https://www.wittgenstein.it/wp-content/uploads/2018/10/scala_rep-768x116.png

 

Questi invece sono il Giornale (https://www.ilpost.it/2018/10/24/le-prime-pagine-di-oggi-1960/nazionale-1-giorninternipag-prima-241018/...cliccateci, vi prego) e il Messaggero (Https://www.ilpost.it/2018/10/24/le-prime-pagine-di-oggi-1960/il_messaggero-528/), in questo caso encomiabile (come anche la Stampa).

 

Le considerazioni – lo so, siamo abituati, ci stiamo annoiando: pure io – sono le seguenti:

1. Un paio d’ore dopo l’incidente di cui ancora non si capisce niente, alcuni grandi quotidiani ritengono una priorità dare immediatamente un colpevole qualunque ai lettori (si veda questo, come lezione eterna).

2. Il colpevole non è solo qualunque e indimostrato (“alcuni testimoni avrebbero raccontato…”) ma è fatto a forma di colpevole: stranieri, russi, tifosi, esagitati. Par di vederli.

3. Della versione si impadroniscono per esempio Salvini e Raggi, senza nessuna prudenza e con il consueto senso di responsabilità. Accusare gli stranieri ha sempre funzionato, nella storia e nei tempi attuali.

4. Nel momento in cui la versione viene pesantemente messa in dubbio, se non smentita, nessuno dei quotidiani in questione ne dà notizia ai propri lettori.

Ma magari ci sarà un dirigente dell’ATAC da additare (magari con un cognome straniero), e allora vedrete che la storia tornerà in prima pagina. Che altro conta?

 

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24 settembre 2018 1 24 /09 /settembre /2018 09:20

Su huffingtonpost.it di oggi 24/09/2018 ho trovato quest'articolo di Don Gennaro Matino che merita attenzione e approfondimento

 

 

Povertà o miseria? Il rischio è non capire

 

Il rischio è non capire: povertà o miseria? Si fa per dire, tanto per parlare.

 

Le parole a questo servono: a mediare pensieri. E se si riesce a passarne di nuovi con antiche strofe, che ben venga. È sacrosanto avere idee chiare e distinte, ma quando fai due passi nel vecchio quartiere di Dum Dum, là dove gli inglesi, in tempo di colonie, costruivano fucili, là dove il rumore dei proiettili, che costringevano schiavi, è rimasto memoria perfino nella toponomastica, non è tanto semplice.

 

La stazione di Calcutta è un mare di gente che parte per andare dovunque ed è un mare di dolore che resta sempre lì, in quello stesso posto, in cerca di mete artificiali rubate a un barattolo di colla.

 

Giovani svenduti sui binari, sventrati i sogni, il loro unico desiderio è ormai riuscire a non desiderare più nulla. Uguale nella favella Maior di Rio de Janeiro. I meninos de rua aspettano sera per inoltrarsi nelle strade, come topi a razziare rifiuti, e fanno festa se qualche scellerato pervertito si mostra generoso e sborsa qualche spicciolo in cambio delle loro prestazioni. Prezzo da pagare per comprarsi mastice da sniffare, e fuggire con il branco lontano, illudendosi di poter scappare da quell'inferno chiudendo il naso e la bocca in un sacchetto di plastica.

 

Bambini di strada che potremmo chiamare poveri. O, meglio, figli della miseria. Povertà o miseria, cosa cambia. Sempre strada, comunque strada. Il rischio è non capire. È povertà o miseria?

 

Sembrano percorsi uguali, stessi codici che condividono storie di limite, esperienze di varia e dolorosa sopravvivenza chiusi in due apparenti sinonimi che dicono disagio, stento, precarietà.

 

Eppure il suono delle due parole avvolge significati diversi, che possono avere la forza di una verità difficile da passare. Una verità scandalosa, perché la parola povertà non solo descrive un limite, ma dice protesta coraggiosa contro chi è causa dell'ingiustizia. La povertà è una condizione propria ma originata da un eccesso di ricchezza, di abbondanza altrove.

 

La parola miseria, invece, sembra piuttosto indicare un ripiegarsi rassegnati su se stessi di chi, per colpa o mancanza di forze, ormai si lascia schiacciare dalla propria condizione disperata, diventandone complice. Condizione di chi, vinto, rifiuta la lotta.

 

Non è la stessa cosa essere in povertà o essere in miseria.

 

Povero è chi non ha, ma potrebbe liberarsi dall'indigenza se messo nella condizione di farlo, se avesse gli strumenti per lottare. La povertà è una condizione dolorosa che fa ribellare colui che ne è afflitto. La protesta del povero è il principio di sfondamento del male, è inizio di riscatto.

 

Un povero che grida aiuto va ascoltato nella sua richiesta, ma soprattutto va incoraggiato nella sua protesta. Così inizia la sua liberazione. Il povero non stende la mano, non chiede la carità. Pretende giustizia. E se accetta aiuto, spera di poterlo ricambiare in tempi migliori.

 

La miseria ha altra faccia, perfora il cuore e disarma la speranza. Può diventare perfino condizione di ricatto e di autocommiserazione, che annulla la voglia di riscatto e indebolisce ogni azione di ripristino della giustizia, dell'equità.

 

Sarebbe facile, in via di principio, aiutare un povero a liberarsi: non ha mezzi, non ha spazio? Allora, l'abbondanza degli uni supplisca alla mancanza degli altri.

 

È cosa molto più seria, invece, riconsegnare alla vita chi è nella miseria. Bisognerebbe ripartire dal suo linguaggio che è stato alterato, dai suoi pensieri che hanno perso ogni memoria positiva, dalla speranza che ormai non conosce più.

 

Il povero ha bisogno di mezzi per una nuova vita, il miserabile ha bisogno di una nuova vita per poter dare il giusto valore alle cose.

 

Non so se fuori alle nostre chiese ci siano poveri o miserabili, non so se la logica del sussidio che la politica sbandiera combatta la povertà o rafforzi la miseria, non riesco a capire se valga ancora oggi la massima: "Dai un pesce ad un uomo e lo nutrirai un giorno. Insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita". Papa Francesco intervistato in questi giorni ha detto: "Il lavoro crea dignità, i sussidi, quando non legati al preciso obiettivo di ridare lavoro e occupazione, creano dipendenza e deresponsabilizzano". Ricordo che Madre Teresa, quando la incontrai a Calcutta, mi disse: "Se un povero ti chiede un pezzo di pane sii pronto a donarglielo, ma poi permettigli di guadagnarselo".

 

Don Gennaro Matino

Teologo e scrittore

 

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15 luglio 2018 7 15 /07 /luglio /2018 10:29

E' triste ma non riesco a vederla diversamente, per quanto fede e cuore violentino la mia onestà intellettuale, il fenomeno degli emigranti non è una situazione di emergenza e, pertanto, non è gestibile con la generosità.

 

Il buonismo, dovunque si origini (nelle chiese o nei circoli di partito o in qualche cosca), non può dimenticare l'antico detto sempre vero che "il medico pietoso fa la piaga verminosa".  

 

E' un fenomeno epocale che potrebbe travolgerci  e dove programmazione e coraggio la devono fare da padroni.

 

Certo che a reagire seriamente ci saranno rischi e ci scapperanno morti e persino  rivoluzioni, ma i medici e i soldati non possono fare le crocerossine, devono fare i medici e i soldati, cioè "à la guerre comme à la guerre". E se si vuole un qualche risultato "i morti si devono contano solo alla fine della battaglia".

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14 luglio 2018 6 14 /07 /luglio /2018 09:56

Carlo Rienzi scrive su Huffingtonpost.it di oggi 14/7/2018:

 

[...] Un ottimo servizio di Report ha di recente dimostrato che questi presunti naufraghi tutti abbienti pagano fior di bigliettoni ai trafficanti per poter salire su gommoni che sanno benissimo essere mezzi sgonfi e a volte bucati, con lo scopo semplice e ovvio di essere "salvati" in mare dalle compiacenti navi delle Ong, chissà da chi foraggiate, e quindi entrare in un paese straniero senza seguire le normali procedure di legge.

 

[...] Il problema è l'atteggiamento e il linguaggio dell'Europa e dei media del nostro paese. Una persona che paga per farsi mettere su un gommone bucato e che poi ovviamente imbarca acqua e rischia di affondare, non può essere assolutamente definito "naufrago", e non si può parlare di obbligo di umanità, solidarietà o di intervento in mare per salvarlo, perché tali concetti non valgono assolutamente se una persona che si è volontariamente - e per uno scopo preciso e illegale - posta in quella situazione di pericolo.

 

Le parole di Carlo Rienzi qui riportate non mi suonano come razziste e confesso di condividerle. Sarebbe ora di piantarla di cavillare e dare giusto nome e corretta reazione al problema.

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6 luglio 2018 5 06 /07 /luglio /2018 04:57

 

Immigrazione e Ius soli, gli errori del Pd e della sinistra

 

articolo di CARLO PANELLA su www.lettera43.it del 5 luglio 2018

 

 

Il Salvini pensiero macina consensi. Anche grazie alla mancanza di analisi degli avversari che hanno ignorato la preoccupazione e il disagio degli strati più periferici della società.

  

Nell’arco di un mese, la Lega e i 5 stelle sono passati dal 49% e rotti del 4 marzo a sondaggi unanimi che li danno complessivamente sopra il 59%. Il tutto a demerito - va detto - dei 5 stelle che calano di qualche punto in percentuale (2 o 3) e a merito solo della Lega di Matteo Salvini che dalle elezioni a oggi ha conquistato ben più del 10-15% nelle rilevazioni di voto. Il tutto, in un periodo nel quale il governo non ha fatto nulla e Salvini, appunto, ha fatto e soprattutto detto di tutto. Sostanzialmente ha posto con straordinaria efficacia il tema dell’immigrazione, degli sbarchi, del confronto a muso duro con un’Europa più divisa e demente che mai, col risultato finale che il suo messaggio è apprezzato da quasi il 60-70% degli italiani.

 

Chi si occupa e preoccupa della sinistra e della rifondazione di un Pd oggi ai minimi storici farebbe bene a dare un’occhiata a questa dinamica, perché ne è complice, perché se il Pd e la sinistra non si danno una regolata sul tema dell’immigrazione - non dei clandestini, dell’immigrazione nel suo complesso - non usciranno mai dalla crisi.

 

Innanzitutto Pd e sinistra devono prendere atto che il Salvini pensiero, per così dire, sull’immigrazione e il suo consenso presso larghissimi strati popolari è un fenomeno non solo italiano, non solo europeo, ma mondiale. Si ricordi il muro col Messico di Trump, a quanto avviene in tutti i Paesi europei - Germania e Baviera in testa, ma anche Svezia e Olanda - e si dia un occhiata anche a quanto fanno gli Stati del Maghreb, Algeria in primis, e si troveranno innegabili assonanze.

 

La realtà è tanto complessa quanto semplice: la società italiana, come le altre, non sopporta più o mal tollera una presenza di immigrati regolari che non seguono affatto i meccanismi dell’assimilazione e dell’integrazione, che vede comunità di immigrati intere arroccarsi in se stesse in quella che i francesi chiamano deriva comunitaria, in una dinamica che innesca disagio, paure e scontento. Una dinamica che riguarda, lo ripetiamo, innanzitutto gli immigrati regolari, esasperata poi dal sopraggiungere del fenomeno dei clandestini. Una dinamica il cui prezzo è tutto sugli strati più disagiati e periferici della popolazione, come dimostrano perfettamente risultati elettorali nei quali tutte le periferie popolari e proletarie vedono la Lega con percentuali di voto bulgare e la sinistra e il Pd perdere una a una tutte le roccaforti e imporsi solo nei quartieri “bene” delle metropoli.

 

A fronte di questo quadro, il Pd e la sinistra negli ultimi anni hanno compiuto tre errori di analisi e di proposta esiziali.

 

  1. ANALISI ERRATE.

Innanzitutto hanno dato per scontato che gli italiani non avessero problemi con gli immigrati regolari. Falso, superficiale, incredibile: basta frequentare le file agli sportelli delle case popolari, delle scuole materne o quartieri come Settimo Torinese, Tor Bella Monaca o Sesto Milanese, e così via e si tocca con mano addirittura una esasperazione, una certezza del crescere di ingiustizie che nulla hanno di razzista o xenofobo, e che poi si sono riversate nelle urne col risultato che sappiamo, soprattutto nel Nord e nel Centro Italia, là dove la Lega ha spopolato.

 

  1. IL NODO MINNITI.

In secondo luogo la sinistra e il Pd nella campagna elettorale e a tutt’oggi si sono letteralmente “vergognati” (vedi Matteo Orfini, ma anche Graziano Delrio) dell’azione contro gli immigrati irregolari e i flussi dall’Africa dell’unico ministro del Pd che aveva compreso questa dinamica. Matteo Renzi ha segato tutti i candidati di Minniti, ha fatto una campagna elettorale nella quale ha semplicemente ignorato i suoi meriti nel contrasto all’immigrazione clandestina. E ha platealmente perso.

 

  1. LA CARTA (SBAGLIATA) DELLO IUS SOLI.

Infine, siccome al male non vi è mai fine, il Pd e la sinistra proprio alla vigilia della campagna elettorale hanno alzato la bandiera dello Ius soli tentando di farlo approvare al Senato, con un chiaro messaggio al proprio elettorato: ora facciamo diventare italiani tutti quegli immigrati regolari che pure vi creano tanti problemi e disagi. Nessuno ha calcolato quanto questo benedetto Ius soli abbia contribuito al 17,8% elettorale del Pd, ma non crediamo di sbagliare se sosteniamo che ha dato una mano definitiva.

 

Da questo quadro desolante per la propria “intelligenza” del reale, devono ripartire il Pd e la sinistra. Magari, con umiltà, riscoprendo quell’antico strumento che per tanti decenni ha portato risultati eccellenti: l’inchiesta, quella vera, in mezzo al popolo.

 

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15 giugno 2018 5 15 /06 /giugno /2018 04:57

Quando uno decide volontariamente di eseguire un'attività nota come pericolosa e qualcosa va male, gli involontari spettatori sono da considerare correi di assassinio perché non sono intervenuti ad evitarlo?

Così come bisognerebbe chiedersi se le normali leggi del mare sui doveri di salvataggio (cioè obbligo di recupero, obblighi dello scalo più vicino... e quant'altro) sono applicabili ai migranti integralmente e tout court?

Credo che sul tema si stia barando. E, poiché qualche allocco c'è caduto [grazie all'illuminata classe politica finora al governo], non si  son cercate vere soluzioni ma solo il mantenimento di un comodo status quo, il cui risultato sarà ancora la cancrenizzazione del problema.

 

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