Su huffingtonpost.it di oggi 24/09/2018 ho trovato quest'articolo di Don Gennaro Matino che merita attenzione e approfondimento
Povertà o miseria? Il rischio è non capire
Il rischio è non capire: povertà o miseria? Si fa per dire, tanto per parlare.
Le parole a questo servono: a mediare pensieri. E se si riesce a passarne di nuovi con antiche strofe, che ben venga. È sacrosanto avere idee chiare e distinte, ma quando fai due passi nel vecchio quartiere di Dum Dum, là dove gli inglesi, in tempo di colonie, costruivano fucili, là dove il rumore dei proiettili, che costringevano schiavi, è rimasto memoria perfino nella toponomastica, non è tanto semplice.
La stazione di Calcutta è un mare di gente che parte per andare dovunque ed è un mare di dolore che resta sempre lì, in quello stesso posto, in cerca di mete artificiali rubate a un barattolo di colla.
Giovani svenduti sui binari, sventrati i sogni, il loro unico desiderio è ormai riuscire a non desiderare più nulla. Uguale nella favella Maior di Rio de Janeiro. I meninos de rua aspettano sera per inoltrarsi nelle strade, come topi a razziare rifiuti, e fanno festa se qualche scellerato pervertito si mostra generoso e sborsa qualche spicciolo in cambio delle loro prestazioni. Prezzo da pagare per comprarsi mastice da sniffare, e fuggire con il branco lontano, illudendosi di poter scappare da quell'inferno chiudendo il naso e la bocca in un sacchetto di plastica.
Bambini di strada che potremmo chiamare poveri. O, meglio, figli della miseria. Povertà o miseria, cosa cambia. Sempre strada, comunque strada. Il rischio è non capire. È povertà o miseria?
Sembrano percorsi uguali, stessi codici che condividono storie di limite, esperienze di varia e dolorosa sopravvivenza chiusi in due apparenti sinonimi che dicono disagio, stento, precarietà.
Eppure il suono delle due parole avvolge significati diversi, che possono avere la forza di una verità difficile da passare. Una verità scandalosa, perché la parola povertà non solo descrive un limite, ma dice protesta coraggiosa contro chi è causa dell'ingiustizia. La povertà è una condizione propria ma originata da un eccesso di ricchezza, di abbondanza altrove.
La parola miseria, invece, sembra piuttosto indicare un ripiegarsi rassegnati su se stessi di chi, per colpa o mancanza di forze, ormai si lascia schiacciare dalla propria condizione disperata, diventandone complice. Condizione di chi, vinto, rifiuta la lotta.
Non è la stessa cosa essere in povertà o essere in miseria.
Povero è chi non ha, ma potrebbe liberarsi dall'indigenza se messo nella condizione di farlo, se avesse gli strumenti per lottare. La povertà è una condizione dolorosa che fa ribellare colui che ne è afflitto. La protesta del povero è il principio di sfondamento del male, è inizio di riscatto.
Un povero che grida aiuto va ascoltato nella sua richiesta, ma soprattutto va incoraggiato nella sua protesta. Così inizia la sua liberazione. Il povero non stende la mano, non chiede la carità. Pretende giustizia. E se accetta aiuto, spera di poterlo ricambiare in tempi migliori.
La miseria ha altra faccia, perfora il cuore e disarma la speranza. Può diventare perfino condizione di ricatto e di autocommiserazione, che annulla la voglia di riscatto e indebolisce ogni azione di ripristino della giustizia, dell'equità.
Sarebbe facile, in via di principio, aiutare un povero a liberarsi: non ha mezzi, non ha spazio? Allora, l'abbondanza degli uni supplisca alla mancanza degli altri.
È cosa molto più seria, invece, riconsegnare alla vita chi è nella miseria. Bisognerebbe ripartire dal suo linguaggio che è stato alterato, dai suoi pensieri che hanno perso ogni memoria positiva, dalla speranza che ormai non conosce più.
Il povero ha bisogno di mezzi per una nuova vita, il miserabile ha bisogno di una nuova vita per poter dare il giusto valore alle cose.
Non so se fuori alle nostre chiese ci siano poveri o miserabili, non so se la logica del sussidio che la politica sbandiera combatta la povertà o rafforzi la miseria, non riesco a capire se valga ancora oggi la massima: "Dai un pesce ad un uomo e lo nutrirai un giorno. Insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita". Papa Francesco intervistato in questi giorni ha detto: "Il lavoro crea dignità, i sussidi, quando non legati al preciso obiettivo di ridare lavoro e occupazione, creano dipendenza e deresponsabilizzano". Ricordo che Madre Teresa, quando la incontrai a Calcutta, mi disse: "Se un povero ti chiede un pezzo di pane sii pronto a donarglielo, ma poi permettigli di guadagnarselo".
Don Gennaro Matino
Teologo e scrittore