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7 agosto 2018 2 07 /08 /agosto /2018 06:04

Nel 2008 Edmondo Berselli, quel gran genio del mio amico, scrisse uno dei suoi tanti libri meravigliosi. Titolo folgorante e profetico: Sinistrati. Sono trascorsi dieci anni e otto, purtroppo, dalla sua morte prematura, e l'intero assetto politico del paese è, tuttora, sinistrato.

I sinistrati siamo noi, diceva Eddy. Brutalizzati alle elezioni, battuti culturalmente, spintonati ai margini di una società cattiva. Alcuni legati a un'idea troppo razionale di riforme difficili, altri pervasi dalla nostalgia di rivoluzioni impossibili. Risultato: vinceranno sempre gli altri. Perché noi siamo fuori tempo, fuori moda, fuori gioco. E con la triste euforia degli esclusi, fra l'autolesionismo e l'autocompatimento, ci prepariamo a diventare una minoranza permanente. 

Ma non è colpa nostra: scienziati autorevoli hanno dimostrato che si è di sinistra per via del Dna. C'è di mezzo un dannato gene altruista. Come dire che siamo fessi per natura. Per questo il Partito democratico ha sbagliato tutte le strategie, si è illuso di vincere, si è schiantato contro Berlusconi, e dopo la batosta non ha ancora deciso se sopravvivere a una sconfitta storica o lasciarsi naufragare. Ci vorrebbe una cultura, un leader, uno schema politico. Ci vorrebbe almeno un'idea. Invece, i riformisti non hanno ancora un programma e gli estremisti non hanno più un peso. Di idee, non se ne parla più. 

Edmondo Berselli descriveva, con affetto, la storia e la malattia dei sinistrati italiani, e formula senza pietà la relativa diagnosi. L'Italia andava a destra, ritrovava nel partito di Berlusconi il clima confortevole di una Dc senza preti, mentre le corporazioni prosperano e la concorrenza latita. C'è una speranza per la sinistra e i sinistrati? Oppure li attende un deserto infinito, e la condanna di attraversarlo fra miraggi crudeli?

Sono passati dieci anni.

Ci vorrebbe una cultura, un leader, uno schema politico. Ci vorrebbe almeno un'idea.

[Beppe Cotafavi, presentazione del libro "Le armi del comunismo" di Edmondo Berselli, ed. Il Dondolo , 2018] 

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22 giugno 2018 5 22 /06 /giugno /2018 07:01

Propongo integralmente un articolo intelligente, che si pone una domanda tanto intelligente da esser presa in considerazione raramente 

 

Giovedì  21 giugno 2018

La bravura dei politici

https://www.ilpost.it/robertotallarita/2018/06/21/la-bravura-dei-politici/

 

 

Secondo molti commentatori, Matteo Salvini è un bravo politico: raccoglie vittorie politiche sui migranti, si dimostra uno stratega, è addirittura il migliore di tutti.

 

C’è una domanda, però, la cui risposta pare essere scontata per molti ma a me lascia perplesso. Come si misura la bravura di un politico? È una domanda importante, perché dire che un politico è bravo a fare il suo mestiere (anche quando, e forse soprattutto quando, non si condividono le sue idee) significa prendere posizione su che cosa dovrebbe essere il mestiere della politica e quindi, in ultimo, su quale sia lo scopo della politica.

 

C’è un modo di rispondere a questa domanda, secondo cui il mestiere del politico sarebbe quello di avere le idee giuste e professarle, proporle, difenderle nel tentativo di cambiare il mondo per il meglio. C’è un altro modo, meno ingenuo, di intendere la politica, secondo cui quel lavoro richiede anche di stringere alleanze, delineare strategie, saper vendere se stessi e il proprio messaggio al fine di poter realizzare per davvero quel qualcosa di buono. Eseguire un paio di buone idee è, in genere, più utile che declamarne dieci senza riuscire a combinare nulla; il politico che fa la prima cosa è più bravo di quell’altro.

 

Ovviamente diverse persone hanno diverse opinioni su quali siano le idee giuste da realizzare e di come farlo, e per questo è difficile pensare contemporaneamente che un politico sia bravo e  che le sue idee non siano affatto buone. Con Salvini, però (ma in realtà parecchio prima di lui), pare che sia divenuta corrente una terza teoria della bravura politica: un bravo politico è un politico che domina il dibattito, prende voti, e aumenta il proprio consenso a prescindere dalla qualità delle sue idee e della loro realizzazione.

 

Se penso che le idee di Salvini e le cose che realizza e che tenta di realizzare siano cattive per l’Italia e per il mondo, posso concludere che è un bravo politico? Forse Salvini è bravo nel mantenere il potere, aumentare la propria visibilità e i voti del suo partito, ma se pensiamo che gli obiettivi e le strategie di Salvini e del suo partito non siano buone, la sua bravura nel vendersi è solo bravura nel fare il proprio interesse, non bravura nel mestiere che ci si aspetta che faccia.

 

È buffo, a pensarci bene, perché per nessun altro lavoro ci sogneremmo di dire che qualcuno è bravo solo perché sa destreggiarsi con le apparenze e la tattica. Non pensiamo che un medico che riesce a farsi nominare primario ma non sa curare i pazienti sia un bravo medico. Non pensiamo che un manager che guadagna un sacco di soldi ma fa fallire l’azienda sia un bravo manager. Non pensiamo che un attaccante strappato agli avversari a un prezzo esagerato ma che non segna un gol sia un bravo calciatore. Non pensiamo che un insegnante di matematica che riesce a farsi assegnare gli orari e le classi che vuole ma che non sa spiegare le equazioni ai suoi studenti sia un bravo insegnante.

 

Siamo tutti sufficientemente cinici da pensare che tanta gente preferisce il proprio tornaconto allo scopo obiettivo del lavoro per cui è pagata, e tra questi ci sono certamente medici, manager, calciatori, insegnanti, e ogni altro tipo di lavoratori – compresi i politici. Siamo però anche abbastanza lucidi da saper distinguere queste persone da chi sa fare bene il proprio lavoro.

 

Abbracciare una certa idea di bravura politica vuol dire, semplicemente, abbracciare una certa idea di politica. Qualcuno pensa che le idee politiche di Salvini siano buone e che quindi lui sia bravo nel proporle efficacemente; qualche altro suo sostenitore, più correttamente, vorrà aspettare i risultati prima di pronunciarsi sulla sua bravura. Ma nessuno tra quelli che ritengono sbagliate le idee che propone possono dire che Salvini è un bravo politico, a meno che sia convinto che il lavoro di un politico consista solo nel prendere voti, invece che governare bene il paese. Per fare la seconda cosa i voti servono, ma non bastano; sono un mezzo per un fine.

 

E se forse i fini a volte giustificano i mezzi, è ridicolo pensare che i mezzi possano giustificare i fini.

 

Sembra solo una questione linguistica (bravo o scaltro o abile a mettere gli altri nel sacco: son solo aggettivi e si intuisce quel che intendono), ma è invece una postura mentale e culturale. Ovviamente è legittimo che chi prende abbastanza voti possa provare a mettere in pratica le proprie idee politiche (entro i limiti che la nostra repubblica si dà) ed è anche legittimo che qualcuno scelga il mestiere di coach tattico, commentando l’abilità di un politico a sapersi vendere; ma è curioso (e in ultimo nocivo) che gran parte del commento politico più brillante sia solo e soltanto una faccenda di tattica invece che di merito.

 

L’idea normativa che abbiamo della politica – l’aspirazione, se volete, di ciò che la politica dovrebbe essere – dà forma in qualche misura a quel che la politica può fare. Ridurre il mestiere del politico all’arte dell’auto-promozione significa aver rinunciato già in partenza alla promessa della democrazia.

 

Roberto Tallarita

Studia gli incroci tra diritto, economia e finanza.

Ha vissuto in Sicilia, a Roma, a New York, a Milano, e ora vive con moglie e figlio a Cambridge, Massachusetts.  

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30 aprile 2018 1 30 /04 /aprile /2018 05:38

 

Governo degli "affari correnti":

governo autentico con forse qualche limite

 

È vaga la formula “affari correnti” per limitare l’azione di un Governo dimissionario. In pratica, che cosa può fare e cosa no l’esecutivo in attesa del nuovo Governo?  Solo la prassi costituzionale aiuta a definire meglio questo perimetro.

 

In occasione delle dimissioni de governo Monti, Lorenzo Cuocolo (Professore ordinario di Diritto comparato, Univ. Genova e Univ. Bocconi - Avvocato) analizza così la complessa fase tra dimissioni del Governo e possibile formazione di un nuovo Governo.

 

La continuità

Fino a che non verrà nominato il nuovo Governo, rimarrà in carica il Governo Monti. L’eventuale incarico (esplorativo o meno) che darà il Presidente della Repubblica non farà cessare il Governo Monti. Solo quando (e se) l’incaricato scioglierà positivamente la riserva, il Presidente della Repubblica firmerà i decreti di nomina del nuovo Governo e, contestualmente, il decreto di accettazione delle dimissioni del Governo Monti. Vi è, pertanto, continuità: il paese non resta mai senza un esecutivo in carica.

 

Dimissioni e “affari correnti”

Ciò chiarito, è necessario domandarsi se un Governo dimissionario (come il Governo Monti o, oggi,  Gentiloni) abbia tutti i poteri di un Governo nel pieno del suo mandato, oppure se questi siano limitati.
Quando il presidente Monti è salito al Quirinale per rassegnare le dimissioni, il Presidente della Repubblica “ha preso atto delle dimissioni e ha invitato il Governo a rimanere in carica per il disbrigo degli affari correnti”. Così si legge nel comunicato del Quirinale del 21 dicembre 2012.
Cosa sono, dunque, gli “affari correnti”? Non ne esiste una definizione normativa, né alcuna norma prevede espressamente che il Governo dimissionario debba limitarsi agli “affari correnti”. L’espressione, dunque, è il frutto di una prassi costituzionale, che si è ripetuta senza significative eccezioni in tutti i comunicati quirinalizi post-dimissioni.

 

La dottrina

La dottrina costituzionalistica non offre una ricostruzione univoca dei poteri del Governo dimissionario. Alcuni autori offrono una lettura fortemente restrittiva, parlando di “organo straordinario” o di organo “meramente amministrativo”, e non più politico. L’opinione prevalente, tuttavia, è che la natura del Governo non muti e che la restrizione dei poteri derivi dalla prassi e dalla correttezza costituzionale.

Come notano alcuni, poi, l’intensità della limitazione varia caso per caso, a seconda che il Governo sia stato espressamente sfiduciato in Parlamento (e che, dunque, sia stato accertato il venir meno di una maggioranza parlamentare), oppure che si sia spontaneamente dimesso (come è avvenuto per il Governo Monti).

 

Un unico limite espresso

Secondo alcuni, il Governo dimissionario non potrebbe chiedere la registrazione con riserva degli atti che la Corte dei conti, in sede di controllo, abbia ritenuto illegittimi. Tale previsione, peraltro dalla portata limitata, è contenuta nel Regio Decreto n. 2441 del 1923, che, essendo anteriore alla Costituzione, è di dubbia legittimità.

 

Gli autolimiti del governo

Nella vaghezza dei confini sopra descritta, molti Presidenti del consiglio, a partire dagli anni ’80 (cfr., ad esempio, la nota di Fanfani del 5 maggio 1983), hanno ritenuto di perimetrare il significato di “affari correnti”, adottando apposite direttive in occasione delle dimissioni.

Ultimo della serie il presidente Prodi, con la direttiva del 25 gennaio 2008. Nel preambolo si legge che “il Governo rimane impegnato nel disbrigo degli affari correnti, nell’attuazione delle determinazioni già assunte dal Parlamento e nell’adozione degli atti urgenti. Dovrà, in particolare, essere assicurata la continuità dell’azione amministrativa, con particolare riguardo ai problemi dell’occupazione, degli investimenti pubblici ed ai processi di liberalizzazione e di contenimento della spesa pubblica».

Limiti, certo, ma tutt’altro che a maglie strette. Ciò è confermato da corpo della direttiva, che consente al Governo l’adozione di atti imposti dal rispetto di vincolieuropei, l’effettuazione di nomine “strettamente necessarie”, l’approvazione di decreti legislativi in scadenza e di decreti-legge in casi di urgenza.
In effetti il Governo Prodi, pur essendo dimissionario a causa di un voto di sfiducia del Parlamento, dovette occuparsi di questioni politicamente assai delicate: su tutte, la gestione della crisi in Kosovo (con concessione delle basi alla Nato) e l’emergenza rifiuti in Campania.

 

Le direttive sono vincolanti?

Una curiosità: la magistratura amministrativa si è pronunciata sulla portata vincolante delle direttive in tema di “affari correnti”.

Davanti al Tar della Puglia, infatti, è stata contestata la validità di un provvedimento di revoca, adottato dall’allora ministro Pecoraro Scanio, non conforme con le previsioni contenute nella direttiva Prodi. I magistrati amministrativi hanno annullato l’atto di revoca, fondando l’illegittimità proprio sulla violazione della direttiva del Presidente del consiglio e della prassi costituzionale (cfr. TAR Puglia, Bari, sentenza n. 996 del 22 aprile 2008).

 

Quali limiti per il governo Monti?

Come si è detto, non vi sono limiti precostituiti. È importante sottolineare che qualunque Governo dimissionario può, e anzi deve, utilizzare tutti i propri poteri per fare fronte alle situazioni di urgenza.

Se, ad esempio, si verificassero particolari tensioni sui mercati e condizioni particolarmente avverse per il paese (ad esempio con una forte risalita dello spread), è da ritenersi che il Governo Monti, pur dimissionario, dovrebbe adottare tutti gli atti necessari a tutelare gli interessi nazionali. Ovviamente, in simili ipotesi, è da ritenersi che ogni atto sarebbe il frutto di un confronto con la presidenza della Repubblica e con le forze politiche rappresentate in Parlamento, come vuole la correttezza costituzionale.

 

 

Articolo di Lorenzo Cuocolo dell'8.03.13 , su www.lavoce.info

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28 aprile 2018 6 28 /04 /aprile /2018 06:51
 
La guerra per governare l'Italia è una commedia per chi ha pagato il biglietto ed è in campo, e per chi vi assiste dai balconi a gratis. Credo che i signori "eletti" abbiano obiettivi chiari, concreti e realistici, cioè non puntino ad un governo pieno, sanno che non è possibile e quindi cercano di arrivare al "mezzo governo". 
 
Infatti oggi come oggi ci governa il PD (cioè Gentiloni, con gli Alfano, le Lorenzin, la Fedeli, i Calenda, etc ... sotto la regìa attenta dei DEM cioè di Renzi).
 
Ed allora ecco perché si fa sempre più insistente la richiesta di un governo di minoranza, un governo da presentare in parlamento. E a vantarne i diritti sono in due, mentre il terzo fa melina. Non invidio Mattarella. E' il gioco del mezzo governo, ma governo comunque.
 
La legge (secondo www.dscuola.it/archivio/ped/civica/crgov.htm) in merito dice che: 
""Il Presidente del Consiglio ed i ministri, prima di assumere le loro funzioni, giurino fedeltà alla Repubblica. Potrà sembrare a molti solo una cerimonia solo coreografica, in realtà ha grande importanza istituzionale. Infatti a questo punto il nuovo Governo subentra a quello dimissionario.
 
Certo, entro dieci giorni dovrà presentarsi alle Camere per ottenerne la fiducia. Nel caso non gli venisse accordata il Presidente del consiglio dovrà dimettersi e il Presidente della Repubblica cercherà di formare un nuovo Governo.
 
Nel frattempo, tuttavia, il Governo dimissionario (che non ha ottenuto la fiducia del Parlamento) continuerà comunque a governare. Anzi, nel caso che il Presidente della Repubblica decidesse di sciogliere le Camere, sarebbe questo Governo ad organizzare le elezioni.""
 
Stando così le cose  chiediamoci se
-   il PD potrà rinunciare al potere che ha, senza avere prospettive future (e il potere sono soldoni, nomine etc)?
-   La destra, con una legge fasulla che fa di tre mezze tacche una presunta maggioranza, potrà mai mettere a rischio le sue molteplici proprietà private nonché le tante prescrizioni che li sottrae alle patrie galere?
-   E i 5S? Sbagliando si impara. Si sentiranno defraudati ma nessuno piangerà per loro, nessuno intonerà un requiem.
  
Questo è l panorama, dove la vera poltrona in gioco è la "mezza poltrona". Andare a votare non conviene a nessuno di loro, per cui il votare sarà più tardi possibile. Forse non 5 anni ma qualche annetto si.
 
Non sono entrato nel merito di nessuno di questi signori. Ce ne sarebbe per tutti, o qualcuno mi vuol convincere di qualche differenza? Intanto il balletto continua.
 
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11 marzo 2018 7 11 /03 /marzo /2018 11:32

 

Finalmente leggo un'analisi sensata sui risultati del voto del 4 marzo.

Finalmente un dirigente PD racconta cosa doveva essere e non è più la sinistra comunista, parla dei binari scomparsi, di un viaggio verso il potere anziché verso la giustizia sociale.

 

[...]  Se si perde il sentimento che spinge in varie forme ad accorciare le distanze tra chi sta sotto e chi sta sopra, non esiste più la sinistra.

 

Tale sentimento può essere declinato in modi diversi: il moto rivoluzionario che tenta di conquistare il potere con la forza; il riformismo gradualista; il compromesso socialdemocratico; la collaborazione per il bene del proprio paese anche con gli avversari.  

 

La questione, tuttavia, non riguarda la strada che si intende perseguire. Qualsiasi strada si scelga l'importanza è che essa sia vivamente alimentata da quella pressione interiore che non sopporta l'ingiustizia, l'offesa e la prevaricazione.

 

Goffredo Bettini, Dirigente nazionale Pd.

Articolo apparso su huffingtonpost.it l' 11/3/2018

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28 gennaio 2018 7 28 /01 /gennaio /2018 07:06
Il 4 marzo 2018 si avvicina e il dilemma si acutizza.
 
E' ormai in conclusione la sceneggiata (con morti, feriti e lacrime) la composizione dei nastri di partenza per l'attribuzione dei seggi. Ufficialmente si concluderà domani sera ma le formazioni ormai si delineano.
 
Un terzo scenderà nell'arena per combattere a singolar tenzone (collegi uninominali), mentre per i restanti due terzi sarà scontro di gruppo.
 
Ora conosciamo di ogni squadra:
  • quale personaggio sarà presente ai nastri partenza;
  • come verrà scelto (per singolar tenzone o dal colore della pettorina);
  • il settore del pubblico deputato a sceglierlo (volgarmente detto "dove viene presentato)

 

Bella kermesse, non vi pare? Ma a noi? E, soprattutto, cosa cambia se non vado a votare?
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Présentation

  • : Blog di Piero Azzena
  • : Questo blog è solo la mia voce, resa libera dall'età. Questo blog è un memo, seppur disinvolto nei tempi e nei modi, dove chioso su argomenti la cui unica caratteristica è l'aver attirato la mia attenzione. Temi esposti man mano che si presentano, senza cura di organicità o apprensione per possibili contraddizioni. Temi portati a nudo, liberi da incrostazioni , franchi e leali.
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