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23 giugno 2020 2 23 /06 /giugno /2020 16:50

 

Guido Vitiello, ricercatore e saggista, il 22 giugno 2020 ha scritto: 

“Per ogni bibliofeticista un po’ naïf che tuffa il naso nell’odore della carta al mattino, trovi ormai almeno un tecnofilo pronto ad accusarti di luddismo o a farti passare per una specie di amish che se ne va in giro in cocchio quando per strada ci sono le automobili, gli scooter e i monopattini.” 

 

E così continua: 

“Io, per esempio, uso poco gli ebook per una ragione banale: perché non posso vederli allineati sugli scaffali di una libreria. Ho una pessima memoria di richiamo, e se non ho davanti agli occhi un libro non mi ricordo neppure di averlo. 

[...] Ma questa ragione pratica ne nasconde una più esoterica – del resto, magia e arti della memoria sono andate a braccetto per secoli. In breve: la biblioteca di casa è, in piccolo, il teatro della memoria di un mago rinascimentale. È una mente o anima artificiale, lo specchio esteriore di un paesaggio interiore, un palcoscenico su cui possiamo assistere allo spettacolo fantasmagorico della conoscenza in atto, un luogo dell’immaginazione che consente di agire indirettamente sulla nostra mente operando sulla combinazione e la ricombinazione dei volumi. 

 

E questo lo condivido! La mia esperienza con due corpose biblioteche, una cartacee e una digitale,  m’ha insegnato che è profondamente vero. Trovo che ciò superi le teorie sulla lettura profonda, teorie che parlano di differenziazioni anche neurali nei due approcci alla lettura e al sapere. 

 

Sbaglia però quando scrive  

“il libro digitale non è il libro cartaceo in una forma più evoluta, è proprio un’altra cosa – un oggetto che suggerisce altri usi, altre abitudini, altri gesti.” 

 

Questo non lo condivido. Lo contesto perché non è vero. Ho faticato, e non poco, a trovare una soluzione. La soluzione sta nel reperire e usare un software non banale. Questo, se “ben coccolato”, ti regala le stesse sensazioni, ti regala “in piccolo, il teatro della memoria e della conoscenza”.

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19 giugno 2020 5 19 /06 /giugno /2020 10:36

 

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18 giugno 2020 4 18 /06 /giugno /2020 06:22

 

La morte non è spaventosa. Si entra in un sogno e il mondo scompare, sempre nel caso che tutto si svolga per il meglio.

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Molti sono però i terrori che circondano la morte:

  • Terribili possono essere le sofferenze dei moribondi e il lutto dei vivi quando perdono una persona cara.
  • Terribili sono spesso le fantasie collettive e individuali che gravitano intorno alla morte. Rasserenarle, confrontarle alla semplice realtà della finitezza della vita è un compito che dobbiamo ancora affrontare.
  • È orribile che dei giovani debbano morire prima di aver potuto assaporare le gioie della vita e di aver dato un senso alla propria esistenza.
  • È orribile che uomini, donne e bambini debbano vagabondare affamati attraverso paesi deserti dove la morte non ha fretta di colpire.

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Dobbiamo ancora scoprire ciò che gli uomini possono fare per garantire ai loro simili una fine tranquilla e pacifica; l'amicizia di coloro che sopravvivono, la sensazione che debbono avere i morenti di non essere d'ingombro fanno senz'altro parte di tale programma.

 

La rimozione sociale, l'atmosfera di malessere che spesso oggigiorno circonda gli ultimi istanti di vita, non sono certamente d'aiuto per gli uomini.

  • Forse dovremmo parlare con più franchezza della morte, smettendo di considerarla un mistero. La morte non cela alcun mistero, non apre alcuna porta: è la fine di una creatura umana. Ciò che di essa sopravvive è quanto essa ha dato agli altri uomini e ciò sarà conservato nella loro memoria.
  • L'etica dell’homo clausus, dell'uomo che si sente solo, decadrà rapidamente se cesseremo di rimuovere la morte accettandola invece come parte integrante della vita. Se l'umanità scompare, tutto ciò che gli uomini hanno fatto, tutto ciò per cui hanno combattuto, tutti i loro sistemi e credenze, umane e sovraumane, non avranno più senso.

 

(Capitolo conclusivo del libro "La solitudine del morente" di Norbert Elias)

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30 aprile 2020 4 30 /04 /aprile /2020 16:24

Se troppo piccolo: (1) clicca sull'immagine col tasto destro. (2) Accetta la proposta di aprire altra scheda. (3) Vai a vedere l'altra scheda di windows 

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14 aprile 2020 2 14 /04 /aprile /2020 17:43

Norbert Elias è stato un sociologo tedesco di origini ebraiche morto nel 1990 a 93 anni. Il libro da cui ho estratto queste pagine risale al 1985, quando aveva 85 anni.

Trentacinque anni fa non c'era ancora il Covid-19, ma esse anticipano le riflessioni in cui siamo coinvolti oggi.

 

[...] Ci sono vari  modi di affrontare  il fatto che ogni vita,  e dunque anche la nostra  e quella delle persone che amiamo,  avrà fine. 

 

  1. Possiamo mitologizzare  la fine della vita umana,  che chiamiamo morte, immaginando una  sopravvivenza comune dei morti nell'Ade,  nel Walhalla, nell'inferno o nel paradiso;  questa è la forma più antica e più diffusa  assunta dai tentativi compiuti dall'uomo per risolvere  il problema della finitezza della vita.  

  2. Si può  cercare di  eludere il pensiero della  morte allontanando da sé, per  quanto possibile, ciò che ci è sgradito,  celando o rimuovendo questo pensiero, o forse  anche credendo fermamente nella propria immortalità  («muoiono gli altri, non io»); questa tendenza si manifesta  con molta chiarezza nelle società avanzate contemporanee.  

  3. Possiamo infine  guardare in faccia  la morte come uno degli  aspetti della nostra esistenza; 

    • possiamo  organizzare  la nostra vita,  soprattutto le nostre  relazioni con gli altri,  in funzione della durata limitata  della nostra esistenza.  

    • Possiamo considerare  nostro dovere rendere  quanto più facile e gradevole  possibile il commiato dei moribondi  dagli uomini, si tratti di noi o di  altri, e chiederci come sia possibile assolvere  tale compito. Oggigiorno questo problema è affrontato  in modo chiaro e diretto tutt'al più da alcuni medici;  raramente però la società, intesa in senso lato, si interroga  al proposito. 

 

Comunque il  problema non  riguarda solo la  conclusione definitiva  della vita, il certificato  di morte o l'urna; molti uomini  muoiono un poco alla volta: diventano  infermi, invecchiano.  

 

Le ultime  ore sono importanti,  naturalmente, ma spesso  il commiato ha inizio assai  prima.  

 

Già l’infermità  di per sé separa  l'individuo senescente  dalla cerchia dei viventi:  la decadenza fisica lo isola.  Egli evita i contatti umani, l'intensità  dei suoi sentimenti si affievolisce senza che svanisca  il suo bisogno degli altri. Ecco l'aspetto più duro: la  silenziosa esclusione degli individui senescenti e morenti dalla  comunità umana, il progressivo raffreddamento del loro rapporto con  individui con cui avevano legami affettivi; e soprattutto il distacco  dagli individui che han dato senso e sicurezza alla loro vita. 

 

La  decadenza  fisica non  è dura soltanto  per coloro che soffrono  ma anche per quelli che  rimangono soli. Una delle carenze  delle società avanzate si palesa nell'isolamento  prematuro — anche se non deliberato — cui sono condannati  i morenti. Questo isolamento testimonia quanto siano limitate  le capacità degli individui di identificarsi gli uni con gli altri.

 

(Norbert Elias, La solitudine del  morente,Società editrice il Mulino, 1985

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25 febbraio 2020 2 25 /02 /febbraio /2020 08:36

Il più grande cimitero che vi sia al mondo oggi è qui, è Facebook.

Facebook, con i suoi due miliardi di utenti attivi al mese, conta attualmente oltre cinquanta milioni di utenti deceduti.

Secondo Hachem Sadikki (dottore di ricerca in Statistica presso l’Università del Massachussetts) a causa della scelta di non eliminare in modo automatico gli account degli utenti deceduti, Facebook tra qualche decennio diventerà una distesa di profili fantasma, quindi di pensieri, fotografie, video e ricordi di persone che non ci sono più, a totale portata di mano di chi è rimasto ancora in vita e si ritrova circondato da tutti questi spettri.

I defunti, ghettizzati nei cimiteri a debita distanza dal mondo dei vivi, tornano a circolare simbolicamente tra i vivi, risultando essere di nuovo a pieno titolo partner. Un nuovo Sheol.

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15 gennaio 2020 3 15 /01 /gennaio /2020 11:29

Tieni sul tavolo aperti tutti i libri che vuoi
salta dall’uno all’altro e distruggi barriere, 
immagina spazi, che svaniscano quelli esistenti.

Lascia che la mente funzioni con tante visioni. 
Che il tuo tavolo avvolga compressi i mondi che saranno domani.

[Prof. Mauro Pesce]
 

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24 dicembre 2019 2 24 /12 /dicembre /2019 10:00

Ieri. 23 dicembre 2019, alle ore 22:15 sul canale TV 35 (Focus) è andato in onda un programma dedicato al satellite Rosetta, il satellite che è andato a visitare una cometa, infatti nell’agosto del 2014 s’è posato su una delle comete periodiche del nostro Sistema solare (periodo orbitale di 6,45 anni terrestri) chiamata 67P/Churyumov-Gerasimenko.

 

Di certo la programmazione TV non è stata casuale. Il Natale è prossimo, e anche in quella narrazione si parla di comete. Un racconto francescano, quello natalizio, che piace e intorno a cui costruiamo persino dolci luminosi e mielosi presepi.  Ma il contrasto tra l’immaginario di millenni e la realtà nuda e cruda, che inequivocabilmente quelle telecamere e quegli strumenti di bordo ci pongo davanti, è un pugno allo stomaco ma non può essere rifiutato. E’ una realtà che va affrontata, niente può restare uguale, ogni rifiuto sarebbe una mistificazione della realtà.

 

Sono contrasti che esigono risposte: magi-sacerdoti vs scienziati, il cielo della mitologia vs i concreti sassi desertici e inabitabili che lo compongono, oggetti guidati da una volontà libera vs oggetti che si muovono in base a campi di energie calcolabili, e così via.

 

Sono contrasti che lacerano le nostre convinzioni: dov’è la provvidenza che governa anche il cielo? dov’è il cielo bello e desiderabile se in realtà è un deserto da incubo?

 

E, quindi, che cosa ci siamo inventati in questi millenni? Un abbaglio o c’erano fondamenti concreti, cioè quello che ci è stato insegnato ha di sbagliato solo la spiegazione? Non accetto che sia stato solo un modo di tenere insieme una società, di fondare un’etica, un furbo tentativo di regolare i comportamenti. Penso che credere significhi vedere con altri occhi, intuire l’invisibile, un invisibile che c’è.

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4 novembre 2019 1 04 /11 /novembre /2019 17:49

Persona giusta nel momento sbagliato

Articolo realizzato da Manuela Ratti

 

 

Quando ci si innamora ci si rende conto di quanto questo sentimento possa essere grande, possa segnare un cambiamento per sempre, questo viene dimostrato dagli sguardi, dalle attenzioni rivolte verso un’unica persona, come se questa fosse l’unica al mondo. Tutto è perfetto, tutto sembra più bello quando questa persona è al nostro fianco, magicamente tutti i dubbi e i problemi si annullano, si resta soli in compagnia della persona che abbiamo scelto e non c’è nulla di più bello al mondo che potremmo fare. La cosa più semplice diventa ad un tratto splendida perché si ha la certezza che si sarà felici. Questo sentimento spesso, lascia il posto ad inutili incomprensioni ed incertezze oppure percorsi di vita possono separare piuttosto che unire, è quello che poteva essere un sentimento che avrebbe cambiato la nostra esistenza diventa un rimpianto, ci si chiede se si merita di amare e ci si mette alla ricerca di nuovi occhi capaci di farci sentire vivi come i precedenti. Nulla però è certo, non è detto che chi incontreremo ci faccia innamorare come la persona precedente. Questo accade perché il pensiero è rivolto sempre alla persona precedente, vista come qualcosa di incompiuto ed irrisolto, non si proverà mai per nessun altro lo stesso che si è provato per quella persona, è come se fossimo legati a quest’ultima da un filo dal quale è impossibile trovare una via d’uscita.

 

A raccontare, sul giornale online dedicato ai Millennials “Elite daily”, l’attrice, scrittrice e filmmaker Lauren Skirvin esperienze d’amore, quell’amore non vissuto che ha però cambiato la vita. “Non passa un giorno in cui questa persona non rientri nei tuoi pensieri e il tuo cuore non si senta pesante. Di solito è perché la relazione non si è davvero conclusa. Ma tu non puoi dirtelo e non puoi crederci perché, se lo facessi, impazziresti.” 

 

Questo uno dei tratti presenti nel web magazine che descrive il perfetto stato d’animo di chi ha incontrato l’amore ma non ha avuto il coraggio di buttarsi, di rischiare il tutto e per tutto, ma nonostante questo non si riesce ad ammetterlo con se stessi, si soffrirebbe troppo. 

 

"Non puoi nemmeno dire “Ti auguro il meglio” e andare avanti. Non puoi chiudere il capitolo. Non ancora e forse mai.”, non si riuscirà mai ad andare avanti fino a che la relazione non avrà avuto delle risposte si vivrà in un dubbio eterno che ci tormenterà per sempre, su Elite Daily, Lauren Skirvin parla di purgatorio dell’amore “È un luogo fatto così: tu sai bene chi è l’amore della tua vita, ma voi non state più insieme. Magari siete usciti per un po’, forse avete avuto una vera relazione, oppure non siete mai stati ufficialmente insieme. Ma il filo che vi lega è così robusto, così vero, così magnetico che la vita vi catapulta sempre, continuamente indietro. Il fatto è che la vostra storia non ha mai raggiunto il suo potenziale. Così ci rimanete impigliati, non finisce mai.”

 

 

Un eterno limbo che vive di speranza, di attesa, col tentativo di andare avanti e di dimenticare tutto ciò incontrando un’altra persona. Non si saprà spiegarlo a chi ci circonda che si preferisce quell’amore a noi destinato a chiunque altro “Ci si incontrerà una seconda volta”. Per forza, come nei film. Nel frattempo, sarà solo una sfiancante attesa, un purgatorio di malinconia e distrazioni.” aggiunge Skivin. Il tempo però è la cura di tutto, quando avremo dimenticato la vita ci metterà davanti altre persone da scegliere, starà a noi capire quella giusta alla quale consegnare il nostro destino. 

 Manuela Ratti (su https://kosmomagazine.jimdo.com)

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28 settembre 2019 6 28 /09 /settembre /2019 10:35

Che cos’è la coscienza per l’uomo?

 

La psicologa britannica Susan Jane Blackmore, nel suo libro “Coscienza” (Edizioni Codice, Torino, 2007) presenta un’interpretazione figurata del principio cartesiano "COGITO ERGO SUM".

 

 

La trovo interessante, e mi chiedo se abbia ragione Oscar Cullmann quando, nel suo libro “Immortalità dell’anima o resurrezione dei morti”, riflette sull'uomo e la sua anima.... cioè si chiede se i Padri della Chiesa erano influenzati dal Fedone di Platone, mentre noi, oggi, dovremmo chiederci  quanto siamo influenzati da Cartesio?

 

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  • : Blog di Piero Azzena
  • : Questo blog è solo la mia voce, resa libera dall'età. Questo blog è un memo, seppur disinvolto nei tempi e nei modi, dove chioso su argomenti la cui unica caratteristica è l'aver attirato la mia attenzione. Temi esposti man mano che si presentano, senza cura di organicità o apprensione per possibili contraddizioni. Temi portati a nudo, liberi da incrostazioni , franchi e leali.
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