Un triste ritratto... ma non certo falso.
Pubblicato da La Stampa il 12/1/2025
Salvini, quel totale disinteresse per un lavoro non suo
Dopo il chiodo fatale arriva il maledetto pantografo, un altro sabato nero per i treni e l’ennesima giornata no per Matteo Salvini, con la conferma di un dato: quel ruolo alla guida delle Infrastrutture, il polo italiano più arretrato e complicato da gestire, non è proprio cosa sua. Forse neanche c’entrano dedizione e preparazione: semplicemente, non gli interessa.
Elenco dei primi otto post presenti sui social del ministro ieri, mentre la rete ferroviaria andava in tilt:
- indignazione per il tentato sequestro di una bambina,
- per un genitore che ha minacciato un insegnante,
- per gli scontri tra extracomunitari.
- Vicinanza
- al carabiniere che ha sparato a un egiziano accoltellatore,
- agli agenti del caso Ramy,
- ai militari che hanno distolto una ragazzina dal suicidio,
- al pubblico di Rete4 che lo ha applaudito tantissimo.
- Promessa di «galera senza sconti» per chi ruba nelle case.
Treni, ferrovie, ponti, autostrade? Non pervenuti. Nel racconto pubblico del vicepremier praticamente non esistono.
E anche quando ha dovuto metterci la faccia, ha utilizzato quella modalità caporalesca che piace (piaceva?) tanto ai suoi elettori ma che mal si adatta a risolvere problemi di sistema antichi e complicati.
Ottobre 2024, vanno in tilt treni e stazioni di mezza Italia: «Ho chiesto nome, cognome, indirizzo e codice fiscale di quelli che non hanno fatto il loro lavoro. Il privato ne risponderà! » . Punirne uno per educarne cento in tutta evidenza non è servito.
L’inefficienza dei servizi di manutenzione, del pronto intervento, la lentezza nella reazione ai guai in agguato su una rete enorme con oltre 16mila chilometri di binari attivi, non si risolvono facendo la faccia feroce.
È evidente che la complessità non è nelle corde del ministro. Così come non lo sono le sofisticate competenze legate a esigenze di trasporto che crescono di anno in anno.
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Anche per questo forse sarebbe il caso che il governo cominciasse a esercitare forme di vigilanza sul più importante progetto messo in campo nel settore, il Ponte sullo Stretto, che già oggi – prima che si apra il cantiere – assorbe enormi risorse pubbliche e che alla fine dovrebbe costarci la cifra monstre di 13, 5 miliardi di euro. Fu l’ideona rilanciata da Salvini subito dopo la nomina, per dare consistenza a un ruolo che altrimenti sarebbe sembrato di serie B. Il governo acconsentì a concedergli quella contropartita, un po’ per convinzione e molto per assicurarsi che il capo della Lega non facesse mattane.
Ora, magari, sarebbe il caso di capire meglio cosa sta facendo, come, e soprattutto «se» sta facendo. Il silenzio degli alleati nel sabato di fuoco di Salvini ci dice che il problema è ben presente all’esecutivo, e lo imbarazza, come peraltro le inefficienze di altri ministri più furbi, più capaci di rendersi invisibili.
Bisognerà prima o poi affrontare la questione: governare non è solo applicarsi a grandi questioni e accordi planetari ma anche gestire gli affari correnti, i minuti interessi di chi prende un treno e vorrebbe ragionevolmente sapere a che ora arriverà.