Papa Francesco all'inaugurazione di Expo ha parlato di "volto". Non credo che il termine "volto" sia stato utilizzato casualmente. Credo che facesse riferimento e, quindi, introducesse anche a livello divulgativo un'antropologia meno "scolastica", più attuale, più nostra.
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Uno degli aspetti che segnano il trapasso dalla cultura moderna dell'idealismo tedesco alla cultura che, con molta cautela, potremmo definire «post-moderna» è l'affermarsi, nel panorama filosofico, della tematica del volto. Se la filosofia moderna, a partire da René Descartes, si è interrogata sul soggetto, e con Immanuel Kant la riflessione sul soggetto è diventata riflessione sul soggetto trascendentale, in alcuni filoni del pensiero post-moderno il soggetto umano assume le sembianze del volto.
Il volto è un aspetto che la cultura soggettivistica dell'Ottocento non riesce ad inquadrare nelle sue categorie filosofiche; esso fa esplodere dall'interno il solipsismo tipico della soggettività moderna: il volto umano infatti è sempre anche il volto dell'altro uomo, oltre che il mio, parlare di «volto» significa sempre parlare di una pluralità di volti contrariamente al «soggetto trascendentale», in cui il fuoco dell'analisi cade sicuramente su un soggetto, quello trascendentale appunto (ossia sui caratteri comuni ad ogni soggetto).
Inoltre la cultura post-moderna abbandona consapevolmente (e forse potremmo dire anche «polemicamente») la «trascendentalità» del soggetto: il soggetto umano è, per il pensiero post-moderno, una persona incarnata nella storia e che deve parte della sua identità al momento storico in cui vive.
Recensione di Emanuele Pompetti su Il volto nel pensiero contemporaneo (Raccolta da curata da Daniele Vinci, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2010).