Lungo i fiumi..
Salmo 49 (48)
«Lo so chi tu sei, ti ho vista, o morte, sul volto di amici e fratelli: ti ho vista ieratica e lussuriosa dietro il cataletto di papi, ti ho vista sotto le ruote di un camion sull'asfalto delle autostrade (neppure morte, brandelli di morte). Zingara fantasiosa e beffarda, ti ho vista dentro incendi dove alla fine restavano solo dentiere a ridere: e poi silenzio, oh, quel silenzio!
E così c'è morte e morte: una multiforme, svariatissima morte.
Pensate alla morte dell'Epulone: morto anche lui! E alla morte di Lazzaro, per cui la morte era una speranza. Cè dunque una saggezza anche della morte.
E poi pensate alla grazia di morire; o al contrario: pensate se non ci fosse la morte!...
La grazia di saper morire, di essere degni di morire. Il dono di chiudere, cantando, il lungo giorno, "poiché i miei occhi hanno visto la luce delle genti".
La grazia di poter dire di fronte al mondo: "Le valigie sono pronte; arrivederci, figlioli". Una morte sempre più rara, è vero, la bella morte all'antica.
Di contro, questa civiltà di morte, questa morte a battaglioni: una morte industrializzata. Una vita che è già morte: morte mangiata nei cibi stessi che mangi, morte salita con te nel Jumbo, morte che appunto con te viaggia sulla stessa auto, divertita a spingerti lei al folle sorpasso (...)
Ritorna pure, mio antico amore o morte, come al tempo assoluto, ai giorni di fuoco della giovinezza! Attraverso i tuoi occhi mi dilettavo a guardare e per lunghe sere conversavamo su ciò che più vale nella mia cella di pensatore solitario (frate o non frate), da questa frontiera sul mondo: tu dalla sedia vuota io dall' altra parte del banco a preparare i giorni per la grande battaglia.
Vieni e siedi ancora ma in amicizia, che ora non ho conti da esigere ne progetti superbi avanzo: ho pagato molto mi pare, ho creduto col sangue, ho consumato le mie scelte costose, la colonna delle entrate è pari forse alla colonna delle uscite, e lo zero è la somma finale: bene è dunque essere raggiunto su questa linea di povertà estrema.
Semmai lasciami i pochi amici rimasti, i pochi che hanno resistito agli urti implacabili, o che sono per i tuoi insindacabili calcoli sopravvissuti: ormai ci muoviamo tra cimitero e deserto, altro non sono queste città..
Vorrei prevenirti, dispormi all'incontro, dirti un giorno serenamente: eccomi vengo! Riscattare la tua stessa fama, o morte, ora troppo disonorata, certo del sistema il più squallido frutto: non più naturale morte, divino angelo liberatore.
Come mio padre vorrei partire, lui che disse «figlio, io non muoio più»; e poi si disse in perfetto latino, lui uomo dei campi, l'offertorio dei morti.
Se a tanto riuscisse la nostra amicizia, sarebbe la miglior battaglia che vinco: per ridarti la tua perduta dignità, o morte».
David Maria Turoldo
[Lungo i fiumi... I Salmi. Traduzione poetica e commento (a cura di Gianfranco Ravasi), Cinisello Balsamo, San Paolo Edizioni 2012.] Pubblicato su l'osservatore Romano del 6.2.2022.