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17 aprile 2025 4 17 /04 /aprile /2025 03:56

Un articolo intelligente. 


Corriere della sera, April 15, 2025

L'America e i suoi tre paradossi

Di Sabino Cassese

 

La presidente del Consiglio dei ministri italiana incontra domani a Washington il presidente degli Stati Uniti.
Quest’ultimo, con uno stile che ricorda quello di un suo predecessore di due secoli prima, Andrew Jackson, ha già deciso una serie di aumenti di dazi di cui ha poi in parte sospeso l’efficacia, per breve tempo. La presidente del Consiglio dei ministri italiana va in America per far sentire la voce autorevole di uno dei fondatori dell’Unione europea e lo sconcerto dei 27 Paesi che ne fanno parte, ma deve anche tener conto dei diversi punti di vista dei suoi alleati in Italia.

La situazione è tanto fluida che sarà bene capire quali sono i poteri dei due capi di governo, i moventi e i margini delle loro strategie. Il presidente degli Stati Uniti ha potuto prendere decisioni unilaterali così drastiche, in un’area del mondo tanto globalizzata come il commercio internazionale, perché glielo ha consentito il Trade Act 1974 firmato da Gerald Ford, l’unico presidente americano che non è stato mai eletto a quella carica. Quella legge, in 203 pagine, menziona 421 volte il presidente degli Stati Uniti. Con quell’atto i due rami del Parlamento americano si sono spogliati dei poteri in materia di commercio, affidandoli al presidente. Esso è stato più volte prorogato, da ultimo dal presidente Obama. 

Il motivo che indusse ad una delega così estesa al presidente degli Stati Uniti era quello di negoziare accordi internazionali dei diversi Round del General Agreement on Tariffs and Trade (Gatt), che poi daranno luogo all’Organizzazione mondiale del commercio.
Ecco il primo paradosso: una norma adottata per assicurare la globalizzazione del commercio viene ora utilizzata allo scopo di imporre dazi che limitano il commercio mondiale.

Chi abbia letto l’Elegia del bifolco, il libro scritto dal vicepresidente degli Stati Uniti, James David Vance, sa che l’iniziativa del presidente Trump non è una alzata di ingegno o un modo per riaffermare il suo ruolo dominante nel mondo, ma una reazione all’impoverimento di molte zone degli Stati Uniti (ad esempio, Middletown nell’Ohio e la zona dei monti Appalachi). Ma bisogna leggere anche il rapporto sulle barriere al commercio estero recentemente presentato dall’ US Trade Representative per rendersi conto che l’azione del presidente degli Stati Uniti non ha un solo movente. Egli non è solo contrario alle importazioni che incidono sulla produzione statunitense, ma anche alle politiche, specialmente quelle sovranazionali (europee innanzitutto), più stringenti di quelle del suo Paese, che limitano lo sviluppo universale di imprese americane, a partire dalle Big Tech, le quali sentono che ora lo spazio per loro si fa più ristretto. Si tratta delle barriere non tariffarie, quali ad esempio le norme di quel gigante regolatorio che è l’Unione europea, sui servizi e sul mercato digitale, alle quali si accompagnano iniziative delle autorità fiscali, l’irrogazione di pesanti multe (di centinaia di milioni e di decine di miliardi), e di iniziative penali delle procure di diversi Paesi europei.
Questo è il secondo paradosso dell’azione degli Stati Uniti, un po’ troppo rapidamente definita sovranista: essa è mossa anche dallo scopo di abbattere barriere non tariffarie ed evitare sanzioni di giudici che incidono sull’azione globale di imprese nate in territorio americano. Trump alza le barriere tariffarie anche perché l’Unione europea abbassi le barriere non tariffarie.

Dunque, la posta in gioco è molto più ampia di quella dei dazi. Ma il tentativo americano di ridurre le asimmetrie commerciali si scontra con diversi ostacoli. I commerci dipendono dalle strutture dei mercati e dalle scelte dei consumatori. Un bilancio complessivo del dare e dell’avere richiederebbe di calcolare anche il risparmio europeo diretto al mercato mobiliare americano. Le Big Tech nate e sviluppatesi in una bolla di immunità, negli Stati Uniti, ora assediate dall’ardore regolatorio dell’Unione europea e dei Paesi che ne fanno parte, gli unici organismi geneticamente globali, rappresentano una sfida per molti Stati.

Ecco il terzo groviglio di paradossi di cui l’Unione europea deve tenere conto. Trump difende la sua globalizzazione. Un potere pubblico nazionale esercita la sua sovranità per ridurre i vincoli posti da un’autorità sovranazionale alle più importanti imprese private esistenti al mondo. L’America, che ha insegnato al mondo la regolazione, in particolare quella per la concorrenza, lamenta che l’Unione europea ha imparato troppo bene la lezione.
Infine, in questo negoziato complesso, che si svolge in modi anche sconcertanti, in qualche caso volgari, c’è un problema di riduzione delle asimmetrie anche in altri campi, che riguardano direttamente gli Stati, come la difesa e il suo costo, oggi sbilanciato a sfavore degli Stati Uniti.

Insomma, il negoziato si svolge su più piani, con obiettivi in parte diversi, in parte coincidenti. L’Unione europea ha molte frecce per il suo arco: essa ha fatto il primo passo, ed ha spinto il presidente americano ad alzare la voce, usando l’arma di cui dispone, quella dei dazi. Non si oppongono chiusura nazionalistica statunitense e apertura globale dell’Unione europea. Gli Stati Uniti sono troppo interessati ai commerci mondiali. L’Unione europea, una zona del mondo con forti esportazioni, non può che essere favorevole ad una riduzione delle asimmetrie commerciali (e questo vale in particolare per Paesi come la Germania e l’Italia).

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