Le vecchie religioni di Roma non offrivano alcun tipo di conforto. Tutt’altro. Gli inferi greco-romani erano il luogo dove Tantalo era torturato dalla sete e Sisifo trascorreva le sue giornate spingendo un masso in cima a una collina solo per vedersela rotolare a valle – per poi ricominciare a spingerla invano, e così via.
In verità, dove l’ambito della religione non arrivava esistevano filosofie capaci di offrire una qualche consolazione – ma considerando che il tipo di filosofia “stringi i denti e sopporta” caldeggiato dallo stoicismo che fu una delle correnti più popolari dell’epoca,
Fu in questo mondo freddo e nichilista che irruppe il cristianesimo.
Non solo la nuova religione offriva conforto, compagnia e senso in questa vita, ma proponeva anche la promessa di una beatitudine eterna nella prossima. Se questo non fosse sembrato abbastanza, di lì a poco, il cristianesimo avrebbe offerto ancora di più ai suoi convertiti.
Nel 312 d.C. l’imperatore Costantino si proclamò seguace di Cristo. Sotto i suoi auspici, la Chiesa fu esentata dalla tassazione e la sua gerarchia iniziò a essere lautamente ricompensata. I vescovi erano pagati cinque volte la somma che spettava ai professori, sei volte rispetto ai dottori – quasi quanto i governatori locali. Gioia eterna nella prossima vita, avanzamenti di carriera in questa. Che cos’altro si poteva chiedere di più?
Nel nome della croce, di Catherine Nixey, Bollati Boringhieri, 2018