Il problema del male nell'Antico Testamento
L’Egitto, la Mesopotamia e la cultura cananea ci hanno ormai fatto conoscere testi diventati famosi, i quali attestano l’universale presenza del male nella vita dell’uomo. In particolare i miti cosmogonici e antropogonici descrivono l’emergere del mondo come scontro tra dei e la nascita infelice dell’uomo come un capriccio del destino regolato dall’alto. Tali descrizioni sono spesso toccanti, ma in esse il problema del male viene depotenziato in un quadro stabile e numinoso intoccabile, perché è un dato di fatto «divino»!
Anche l’AT si pone il problema del male. Ma il monoteismo veterotestamentario, ricava dal suo seno una verità drammatica, addirittura aporetica, ma geniale.
L’unico Dio pone in essere l’altro da sé, fino a dar vita a un’immagine speculare.
Tale immagine si deve tenere all’altezza della fonte, perché essa riflette Dio, ma non è Dio e non può permettersi di abbandonarsi al brivido metafisico dell’autonomia assoluta. Nel momento in cui lo fa, egli «crea» qualcosa di corrispondente alla misura del suo essere: il male.
La verità biblica potrebbe anche apparire riduttiva. L’autore sembra liberarsi troppo facilmente della sfida dell’angoscia metafisica, proveniente da quella presenza oscura che si aggira nel mondo come potenza apparentemente invincibile, che non s’identifica immediatamente con la singola azione cattiva di un uomo.
E tuttavia abbiamo definito geniale la soluzione che il monoteismo veterotestamentario offre:
Proprio perché l’uomo non è Dio, il male sconfinato e terribile che da lui proviene non può neutralizzare e tanto meno annientare la fonte dell’essere.
Pur essendo alieno da problematiche filosofiche moderne di tipo esistenzialistico, l’AT sa imbrigliare l’angosciosa possibilità del male, investita nella figura irrazionale e bestiale del serpente, mediante una razionalizzazione etica che trova la più bella esposizione in un testo già più volte citato: «Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è in cielo, perché tu dica: Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire sì che lo possiamo eseguire? Non è di là dal mare, perché tu dica: Chi attraverserà per noi il mare per prendercelo e farcelo udire sì che lo possiamo eseguire? Anzi, la Parola è molto vicino a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica. Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male» (Dt 30,11-15).
(liberi appunti da una intelligente lezione universitaria di esegesi sull’Antico Testamento)