Se il nuovo ci ricorda qualcosa, giudichiamo questa novità "vera".
Sicuramente su questo assioma potremmo discuttere. Personalmente lo condivido, ma trovo interessante l'analisi diversa della diffusione iniziale del Cristianesimo che Stefano Levi della Torre propone, basandosi su questo assioma.
... In ambito ebraico, sotto la pressione dell'ellenismo e poi dell'impero romano, nella catastrofe della caduta di Gerusalemme e della distruzione del Secondo Tempio sotto i Flavi, la figura di Gesù si costruiva intessuta di «cose nuove e cose antiche» {Matteo 13,52), riconoscibile perché sintesi delle antiche figure chiave della Torà e della loro carica messianica aperta al futuro.
Ma questa riconoscibilità non si proponeva solo sul versante ebraico: sul versante ellenistico e pagano la figura di Gesù si offriva alla riconoscibilità come riassunto di figure chiave delle mitologie mediterranee. Era il figlio di una donna e di un Dio, come Ercole, Dioniso, Romolo; era il Dio che moriva e risorgeva, come Osiride, come Dioniso; era asceso in cielo, come Ercole dopo il tormento delle sue fatiche e la sofferenza della tunica mortale bagnata del sangue di Nesso. Ih lui traspariva Prometeo, donatore agli esseri umani del fuoco divino e poi crocifisso sulla roccia per decreto della divinità suprema; traspariva Orfeo, il buon pastore che, scrive Eusebio di Cesarea, «se ammansi le fiere col suono della lira... il Verbo di Dio fece di più, e ammansì i costumi dei barbari e dei pagani»; traspariva l'Ermete psicopompo, guida delle anime dei morti; e il vino, sangue di Dioniso; e il Sole Invitto, che ha il suo natale e la sua rinascita nell'oscurità del solstizio di inverno, convertito in festa di Natale e della luce risorgente. .. E soprattutto traspariva in Gesù la figura dell'eroe divino, del semidio, del Dio antropomorfo proprio della mitologia greca, dell'uomo-Dio e del Re divino della tradizione faraonica e poi imperiale: torme respinte dalla tradizione ebraica, ma radicate e familiari alle culture del Mediterraneo.
La figura di Gesù era, cosi, bifronte: per certi aspetti era riconoscibile dal lato biblico ebraico, per altri dal lato mitologico pagano. Era come un ponte gettato tra i due mondi.
C'è una dialettica tra memoria e novità: ci riconosciamo nel nuovo se il nuovo ci ricorda qualcosa.
L'immagine di Gesù si era intessuta come una novità ricca di reminiscenze. Era l'Ipostasi, la Persona maiuscola che si rivolgeva alla persona comune nella sua dimensione esistenziale, e al tempo stesso rimembrava a ognuno il proprio immaginario culturale collettivo.
Ora, se per « inculturazione » intendiamo la capacità di una cultura, di un'ideologia o di una religione di declinarsi secondo altre mentalità e culture, di proporre il proprio messaggio attraverso il linguaggio altrui, di rendersi riconoscibile ad altrui conformandosi al suo immaginario e innestandosi sulla sua memoria culturale, occorre riconoscere a questa capacità il successo del cristianesimo e la sua diffusione nel mondo.
L'inculturazione fu la linea dei missionari e in particolare dei gesuiti. Ma l'inculturazione era già inscritta nell'origine, nella figura stessa del Cristo, capace di rispecchiare in sé le speranze e insieme le memorie culturali delle genti diverse a cui si volgeva.
Stefano Levi Della Torre: Laicità grazie a Dio, Einaudi, Torino 2012.