Sulla scena terrena, nel cui ambito si forma l’esperienza, la vita predomina e occupa tutto il primo piano.
Prima di ogni cosa viene l’esperienza piú convincente di tutte, la vita onnipresente in tutto ciò che è.
Il primitivo panpsichismo era ampiamente giustificato secondo norme deduttive e dimostrative entro l’ambito accessibile dell’esperienza. All’uomo primitivo, in piedi sulla propria terra e sovrastato dalla volta del suo cielo, non poteva venire in mente che la vita fosse un’eccezione o una questione marginale nell’universo e non la sua regola dominante.
Cosí tutto il primitivo riflettere combatte con l’enigma della morte e cerca di darvi una risposta attraverso il mito, culto e religione. Il fatto che sia la morte, e non la vita, a richiedere in primo luogo una spiegazione, riflette una situazione teoretica che durò a lungo nella storia del genere umano. Prima che iniziasse la meraviglia per il miracolo della vita, ci si meravigliò della morte e di cosa potesse significare.
Infatti solo quando la rivoluzione copernicana ampliò l’orizzonte alle vastità dell’universo, il posto proporzionale della vita nel quadro generale delle cose divenne sufficientemente minuscolo per poterla tralasciare in quello che costituí da allora in poi il contenuto del concetto di «natura».
Prima che iniziasse la meraviglia per il miracolo della vita, ci si meravigliò della morte e di cosa potesse significare. Se la vita è il naturale, la regola e il comprensibile, la morte, come sua apparente negazione, è l’innaturale e incomprensibile, che non può essere veramente reale.
Il culto dei morti e la fede nell’immortalità in genere e le speculazioni, in cui questi si evolvono, sono il costante confronto del punto di vista della vita con la morte, un confronto che può volgersi anche contro lo stesso punto di vista difeso e alla fine demolirlo.
Questo è il paradosso: proprio l’importanza del culto tombale agli albori dell’umanità, la potenza del motivo della morte agli albori della riflessione umana, testimonia il retroscena piú potente dell’universale motivo della vita: l’essere è solo comprensibile, solo reale in quanto vita; e la presagita costanza dell’essere può essere intesa unicamente come costanza della vita, oltre la morte.
(brani da HANS JONAS, ORGANISMO E LIBERTA', Einaudi, 1999 -1a pubblicaz 1973)