Riflessioni sulla liturgia della prima domenica dopo Pasqua 2024
Il mio commento alla liturgia di questa domenica prende l’avvio da un articolo letto alcuni mesi fa: ""Il concetto di Pace nel tempo, imparando dalla Storia. Pace, qualcosa di più che la fine di una guerra"" (www.aldai.it)
Leggo e riporto alcuni brani riassuntivi:
Non è possibile una definizione di Pace che accontenti ogni persona. Nei secoli, nella storia umana, ha avuto diversi modi di essere definita. [...] Infatti se la guerra fornisce subito un’idea chiara e immediata di uno stato solitamente di disagio, la Pace è soggetto talvolta indefinibile, essendo uno stato esistenziale. [...] Noi siamo eredi di una tradizione che non è sempre riuscita a darne una definizione indipendente dalla guerra.
Ciò può portare confusione, e storicamente è avvenuto come anche ai tempi nostri, con il concetto di Tregua, più o meno lunga. [...] La parola Pace significa, quindi, qualcosa di più che la fine di una guerra, bensì un patto fatto per allontanare un conflitto, una premessa che si raggiunge attraverso il suo allontanamento. Ciò significa che il termine Pace è soprattutto una condizione interna all’uomo che, di natura, non deve privilegiare la guerra.
[...] La Pace è sempre stata una condizione fragile ed effimera nella Storia dell’umanità, e in certa misura lo è ancora, ma proprio la Storia ci insegna che gli esseri umani hanno trovato definitivamente un’alternativa al semplice prevalere della forza, al sopruso, alla necessità di togliere ad altri ciò di cui abbiamo bisogno. Da una parte gli umani hanno scoperto che la torta da dividere può essere sufficiente per tutti, dall’altra che, sia pure in prospettiva, è molto più proficuo per tutti dividerla in parti uguali; la torta, inoltre, poiché siamo noi a crearla, può essere sempre più ricca di benefici da distribuire. La vera difficoltà è accettare l’idea che siamo ancora lontani dalla meta, e che ci vogliono ancora molto lavoro e fatica da dedicare all’impresa.
Ho premesso questa mia lettura perché Giovanni, nel brano evangelico proposto, pronuncia per ben tre volte «Pace a voi!» «Pace a voi!» «Pace a voi!».
Una ripetizione che rende centrale nell’economia della parola domenicale questa frase apparentemente semplice ma dal significato oscuro, cioè non è chiaro se sia una dono che Gesù fa o una sua richiesta al gruppo cui si rivolge.
Se guardiamo oltre l’apologetica che tutto santifica e colora di rosa, dove s’annidavano le guerre nelle prime comunità cristiane?
Ecco alcuni esempi:
- Luca Le invidie tra gruppi (ebrei vs non-ebrei) che costrinse all’invenzione dei diaconi. Luca scrive: fra loro tutto era comune. Ma Luca mente.
Lui sa molto bene (lo dice lui stesso) che le cose nelle prime comunità non stavano proprio così. Gli sarebbe piaciuto. Ma la realtà era altra, e agli apostoli non riusciva di governarla. Altrimenti i diacono a che servivano? Solo perché i preti se ne lavassero le mani? non credo, credo che servisse per tacere i malumori che rendevano pesante l’aria nelle comunità.
- Luca. Luca ci racconta pure delle falsità presenti e nascoste nelle comunità.
«Anania, perché Satana ti ha riempito il cuore, cosicché hai mentito allo Spirito Santo e hai trattenuto una parte del ricavato del campo? 4Prima di venderlo, non era forse tua proprietà e l'importo della vendita non era forse a tua disposizione? Perché hai pensato in cuor tuo a quest'azione? Non hai mentito agli uomini, ma a Dio». 5All'udire queste parole, Anania cadde a terra e spirò. Un grande timore si diffuse in tutti quelli che ascoltavano.
- I dubbi di Tommaso, che non era certamente il solo, vista la palese delusione dei discepoli di Emmaus
- Paolo (in 1Cor 1,10ss) Vi esorto pertanto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, ad essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e d'intenti. Mi è stato segnalato infatti a vostro riguardo, fratelli, dalla gente di Cloe, che vi sono discordie tra voi. Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: «Io sono di Paolo», «Io invece sono di Apollo», «E io di Cefa», «E io di Cristo!».LFratelli miei, la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria, sia immune da favoritismi personali.
- Giacomo (Gc 2,2.4) Supponiamo che, in una delle vostre riunioni, entri qualcuno con un anello d'oro al dito, vestito lussuosamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. Se guardate colui che è vestito lussuosamente e gli dite: «Tu siediti qui, comodamente», e al povero dite: «Tu mettiti là, in piedi», oppure: «Siediti qui ai piedi del mio sgabello», non fate forse discriminazioni e non siete giudici dai giudizi perversi?
E infine cosa direbbe oggi il Cristo se dovesse manifestarsi in Vaticano? Lo stesso Bergoglio ci ha raccontato che molti pregano perché muoia presto… se questa non è guerra!!!
Di certo non ci troviamo di fronte a una filosofia zen. Cioè ad una filosofia che vuole esprimere un modo di vivere, che incoraggia la ricerca di equilibrio ed armonia, non solo con se stessi, ma anche con il mondo che ci circonda. Essa incoraggia a vivere l'esistenza e l'esperienza umana nella sua interezza, compresi i momenti difficili della vita.
Sono propenso a credere che Cristo sapesse bene con chi aveva a che fare e chiedesse attenzione. Cioè non volesse fare un dono, non volesse donare la “pace”, ma chiedesse solo una tregua, una tregua tra i suoi fedeli.
Ma allora di che “pace” stiamo parlando se tutte le tregue per definizione durano sempre poco? E infatti la pace non è uno “status” di questo mondo (... e lo rammento consapevole che siamo ancora nella settimana della resurrezione). Pertanto, come non pensare che per vincere la morte sia necessario morire? e che l’eterno sia solo dopo?
Buona domenica.