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11 agosto 2013 7 11 /08 /agosto /2013 14:41

 

“Nell’edificio della conoscenza l’ipotesi è come un’impalcatura, e il costruttore sa fin dall’inizio che nel corso dei lavori dovrà toglierla.

 

Essa è una supposizione provvisoria che ha un senso solo in quanto esiste la possibilità pratica di confutarla in base a dati raccolti proprio a questo scopo. Una ipotesi che non è passibile di falsificazione non è neppure verificabile, ed è quindi inutilizzabile ai fini della ricerca sperimentale.

 

Chi ha formulato un’ipotesi deve essere grato a chiunque gli indichi nuove vie per dimostrarne l’insufficienza, poiché tutto il lavoro di verifica consiste proprio nel vedere se l’ipotesi resiste a tutti i tentativi di confutarla.

 

Il lavoro di ogni studioso di scienze naturali è costituito in fondo proprio dalla ricerca di conferme di questo tipo; si parla, infatti, di ipotesi di lavoro. Una ipotesi è tanto più utilizzabile quanto più si presta alle operazioni di verifica: la probabilità che essa sia fondata aumenta col numero delle conferme che è stato possibile raccogliere.

 

È un errore diffuso anche tra gli epistemologi il credere che un’ipotesi possa essere definitivamente scartata se anche uno solo, o pochi, dati risultano incompatibili con essa.

 

Se cosi fosse, tutte le ipotesi esistenti verrebbero rifiutate poiché è ben difficile che ce ne sia una che tenga conto di tutti i fatti specifici. Ogni nostra conoscenza non è che un’approssimazione, anche se progressiva, alla realtà extrasoggettiva che desideriamo conoscere. Per confutare un’ipotesi non basta che un unico dato la contraddica, ma occorre sempre un’altra ipotesi che comprenda in sé un numero maggiore di dati rispetto all’altra.

 

La “verità” è quindi quell’ipotesi di lavoro che si presta meglio ad aprire la strada a un’altra ipotesi che riesce a spiegare di più.

 

Tuttavia il nostro pensiero e i nostri sentimenti si rifiutano di accettare questo fatto teoricamente inconfutabile.

 

Anche se ci sforziamo di ricordare che tutto il nostro sapere, tutto ciò che la nostra percezione ci comunica sulla realtà extrasoggettiva, costituisce soltanto un’immagine grossolanamente semplificata e approssimativa della realtà esistente, noi non possiamo fare a meno di considerare senz’altro vere certe cose e di essere convinti della assoluta esattezza del nostro sapere.

 

Se la consideriamo dal punto di vista psicologico e soprattutto fenomenologico, questa convinzione equivale in tutti i sensi a una fede”.

 

Konrad Lorenz


adattato da “Gli otto peccati capitali della nostra civiltà” 

 [Tratto dall'editoriale di Coelum 62 - maggio 2003]

 

 

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