Per la cultura giudaico-cristiana la natura è il prodotto della volontà di Dio che l’ha creata, per cui, come tutti i prodotti di una volontà, la natura ha determinate caratteristiche, ma avrebbe potuto averne anche altre, differenti. Non solo, la natura prodotta dalla volontà di Dio viene poi consegnata agli uomini perché possano trarne sostentamento e su di essa possano esercitare il loro potere. Dio, infatti, affida ad Adamo il dominio sugli animali della terra, sui pesci dell’acqua e sui volatili del cielo. Quindi la natura è concepita come il prodotto della volontà di Dio consegnato al dominio dell’uomo.
Nel mondo greco tutto ciò è inconcepibile, perché, per i Greci, la natura è quel Tutto immutabile governato da una categoria potentissima: la necessità (anánke). Come ci ricorda Eraclito, le leggi della natura non possono subire alcuna modificazione, perché “questo cosmo che nessun Dio e nessun uomo fece, sempre è stato, sempre è, e sempre sarà: immutabile”
Secondo la mentalità greca gli uomini devono contemplare la natura e cercare di catturarne le costanti. Sulla base di queste costanti devono costruire l’ordine della città e l’ordine dell’anima. La natura è dunque l’orizzonte di riferimento sia per la politica sia per il buon governo dell’anima, oggi di competenza della psicologia
Quindi tutti coloro che pensano che i Greci, e in particolare Platone, siano anticipatori della cultura cristiana, o non hanno capito i Greci o non hanno capito il cristianesimo. C’è un abisso tra i due scenari.
Se ora passiamo dal mondo greco alla vigilia dell’epoca moderna, quando ancora si coltivavano i campi esattamente come al tempo dei Greci, constatiamo che, dal punto di vista tecnico, non sono intervenute grosse novità. Nonostante l’architettura e l’idraulica romana, si continuavano a sfruttare le pendenze naturali e le risorse energetiche che la natura offriva. Anche in medicina, il farmaco non era considerato l’elemento che guariva, ma piuttosto ciò che assecondava la natura nel processo di guarigione. Insomma, permaneva l’antico primato della natura.
Nel 1600, fa la sua comparsa quello sguardo assolutamente nuovo inaugurato dalla scienza moderna. I nomi di riferimento sono Bacone, Galileo, Cartesio, per i quali non bisogna più procedere come i Greci, che si limitavano a contemplare la natura nel tentativo di catturarne le leggi. Occorre, dicono costoro, un’operazione inversa: formuliamo delle ipotesi sulla natura, sottoponiamo la natura a esperimento e, se la natura conferma l’esperimento, assumiamo le nostre ipotesi come leggi di natura.
Questo è il metodo scientifico, il fondamento della cosiddetta scienza moderna.
(Umberto Galimberti, I MITI DEL NOSTRO TEMPO, Feltrinelli, Milano, 2012)